Mauro Grotto, vicentino, dopo aver partecipato come protagonista ad un documentario dal titolo “Il Rumore della Vittoria” dove parla della sua vita e del suo amore per lo sport, ci racconta la sua passione per il calcio: “Per me il calcio è stato prima di tutto un insegnamento di vita. Ho due genitori completamente sordi ed un fratello, più giovane di me, invece, udente. Io ho cominciato a non sentire più intorno ai nove anni. Un trauma”.
- Come ha capito che stava perdendo l’udito?
- L’ho scoperto per caso a scuola, un incubo. Il calcio mi ha aiutato a vivere.
A rapportarmi con gli altri. A condividere qualcosa. In quel rettangolo e nello spogliatoio mi sentivo uguale agli altri. Questo mi ha spinto ad andare oltre, ad affrontare il mondo.
- Non solo la sordità ti stava impedendo di continuare a giocare, giusto?
- Un anno e mezzo fa a due settimane dagli europei di calcio a 11, riservato ai sordi, sono stato ricoverato d’urgenza all'ospedale per un presunto problema cardiaco non ancora definito. Un cuore sano che ogni volta che dormiva aveva lunghe pause. Rischiavo la vita. Un caso raro. In un attimo sono passato dal dover disputare un europeo da capitano della nazionale sordi ad un letto d’ospedale. Un altro incubo. Senza diagnosi mi hanno comunque dovuto impiantare un pacemaker per salvarmi la vita.
E questo per i dottori significava chiudere la mia carriera calcistica. Una disperazione per me. Non l’accettavo. Non mi sono fermato. Sono andato a fondo. E forse ho addirittura aperto nuove frontiere perché nonostante la negazione dei medici, le ho provate tutte. Dopo tre mesi dall'intervento avevo già il certificato per poter tornare a giocare a livello agonistico.
Una liberazione. Ora gioco con una protezione fatta su misura per il pacemaker, ma sono tornato a giocare a tutti gli effetti e ho riconquistato la nazionale e disputato sei mesi fa il mondiale per sordi ad Eboli (SA) da capitano. Non poteva essere altrimenti, perché io senza calcio non so stare. Nè l’udito nè i problemi cardiaci e nemmeno i medici hanno saputo fermare la mia passione.
- Hai vinto tanto, raccontaci un po’ la tua carriera e la tua storia
- Momentaneamente con gli udenti gioco in seconda categoria con il Santomio mentre, coi sordi, ho finito la scorsa stagione col Torino. Quest’anno dopo quattro anni non è detto che rimanga in granata. Nel campionato riservato ai sordi ho vinto 11 scudetti, 2 col Bologna 1 con Torre annunziata (NA), 3 col Modena, 2 col Siena e 3 col Torino. A questi successi vanno aggiunte alcune Coppe Italia e Supercoppe. Vanto anche uno Scudetto anche nel calcio a 5.
- Quali difficoltà hai trovato?
- Difficoltà ne ho trovate tante nel mondo udente, perché sono abituati a parlarsi, ad aiutarsi con la voce, a chiamarsi e con me non possono farlo.
Io posso usare solo gli occhi. Giocando in mezzo al campo può essere un problema perché non ho la possibilità di avere la visuale a 360 gradi e i compagni non possono aiutarmi con la voce. Le difficoltà sono state principalmente queste. È capitato che qualche allenatore nei momenti di difficoltà escludeva il sottoscritto dalla squadra per togliere un peso e crearsi un’attenuante. Ma non ho mai mollato e sono sempre andato avanti con la passione ed il lavoro che, alla lunga, paga, nonostante torti ed ingiustizie, anche gravi. Per sopravvivere s’imparano molte cose e io ho affinato molto di più la vista. E ho sviluppato il sesto senso. Tutte doti che poi porto in campo. La visione di gioco, la lettura in anticipo delle situazioni, magari sono più lento nelle giocate perché non sento, ma riesco, comunque, a sopperire.