Nella sua ricchissima carriera la britannica Nicole Cooke è rimasta sempre una paladina dello sport pulito, anche schierandosi in maniera netta e a volte scomoda. Campionessa olimpica e mondiale nel 2008, la Cooke si è ritirata dal Ciclismo al termine della stagione 2012, neanche trentenne. Da allora però la britannica non ha mai smesso di denunciare i mali del ciclismo, mettendosi anche contro la propria federazione e comparendo di fronte alla Commissione parlamentare che sta cercando di fare chiarezza sul Doping nello sport.
Uno ciclismo gestito dagli uomini per gli uomini
Nicole Cooke ha presentato alla Commissione parlamentare britannica delle prove schiaccianti per avvalorare quanto affermato su temi come il sessismo e il doping nel ciclismo. L’ex campionessa ha raccontato diversi retroscena ed episodi per spiegare la discriminazione che vige nel ciclismo britannico nei confronti delle donne. “E’ uno sport gestito dagli uomini per gli uomini” ha affermato la Cooke, che ha ricordato come l’allenatore della squadra britannica femminile Simon Cope venisse impegnato per settimane a far fare il dietro moto a Bradley Wiggins anziché occuparsi dei loro allenamenti. La Cooke ha ricostruito anche una strana vicenda avvenuta ai Mondiali di Varese 2008, da lei vinti.
La Federazione aveva declassato la sua preparazione perché in quella rassegna iridata non c’erano uomini in grado di competere per vincere. La Cooke, che aveva da poco vinto le Olimpiadi, aveva anche chiesto un body integrale per poter correre anziché la normale maglia che gli era stata fornita, ma la Federazione gliel’aveva negato.
“Avevo il body dell’anno precedente ma mi avevano impedito di usarlo perché non c’era il marchio della Sky” ha raccontato la Cooke “La mia compagna Emma Pooley ha preso ago e filo, ha ritagliato il logo dalla maglia e l’ha cucito sul body”. E proprio con quel body con il logo cucito a mano da Emma Pooley la Cooke andò a vincere il Mondiale a Varese.
Doping, persone e sistemi sbagliati
Nicole Cooke ha raccontato molto anche sul tema del doping, suo cavallo di battaglia. L’ex iridata ha rivelato le pressioni ricevute nella squadra italiana in cui correva quando aveva 19 anni: “Ero l’unica britannica della squadra e sono stata incoraggiata a doparmi da due membri della direzione della squadra” ha ricordato la Cooke, che ha poi denunciato quella vicenda senza ottenere nulla. “Ho passato queste informazioni all’agenzia antidoping britannica ma non è stato fatto niente, non sono state trasmesse alle autorità italiane. La lotta al doping è gestita da persone sbagliate con sistemi sbagliati e nel modo sbagliato”. Molto dura è stata anche la posizione espressa dalla Cooke sulla questione delle esenzioni a scopi terapeutici per usare dei farmaci normalmente proibiti dalle regole antidoping.
Dopo la scoperta dei dati sulle ambigue esenzioni di Wiggins, la Cooke ritiene che le richieste per usare farmaci proibite vadano al di là dell’uso terapeutico. “Piuttosto che la strana coincidenza cronologica delle malattie di Wiggins la questione più importante è chiedere ai medici della Sky se questi steroidi vengono usati per gli atleti fuori gara. Vengono usati correttamente per recuperare da un grave infortunio o piuttosto per perdere peso e guadagnare potenza nel periodo di preparazione?” ha concluso la Cooke.