Il Tour de France edizione 2017 sembra essere appena iniziato ed invece è invece già finito da quasi una settimana. Settimana nella quale, ragionando a sangue freddo, si potrebbero fare tante analisi riguardo le dinamiche di corsa.
Il Tour delle polemiche
Di certo si può dire che il quello di quest'anno sia stato un Tour decisamente ricco di polemiche, a partire dalla squalifica del campione del mondo Peter Sagan, passando per la polemica sollevata da Thomas de Gendt riguardo i presunti 'nazionalismi' della giuria francese, fino ad arrivare al polverone sollevato sull'Astana di Fabio Aru.
Polemica nata dopo le cadute con conseguenti ritiri di Jakob Fuglsang e Dario Cataldo, uomini fondamentali per la squadra kazaka nelle tappe di montagna, e culminata con il polverone sollevato riguardo l'atteggiamento di Alexei Lutsenko nell'ultima tappa di montagna. Al di là delle polemiche, frutto forse troppo spesso di commenti di natura giornalistica creati solo allo scopo di 'fare notizia', dopo una settimana dalla fine della corsa francese si possono di sicuro fare analisi importanti riguardo la prestazione dello stesso Fabio Aru.
Aru, prova di forza a La Planche de Belles Filles
Dopo il prologo e le prime tappe di pianura, il primo banco di prova per i corridori del Tour è stato l'arrivo in salita a La Planche des Belles Filles.
In una salita di poco più di 5 chilometri, la tappa sembrava destinata all'epilogo del 2012 (tappa vinta da Chris Froome con Bradley Wiggins in maglia gialla): ritmo forsennato del Team Sky, arrivo a ranghi ristretti con cinque o sei corridori pronti a giocarsi la tappa nel terribile ultimo strappo finale. Invece no. Qualcosa bolle nella testa e nelle gambe del corridore sardo di Villacidro.
A due chilometri e mezzo dal traguardo, ecco lo scatto: potente, imperioso ma allo stesso tempo leggero. Fabio vola sulla bicicletta, in fuga lì davanti, imprimendo una velocità prossima ai 17 km/h, mentre dietro Michal Kwiatkowski, uomo che tira il trenino Sky, ne imprime solo 13. Fabio vola, leggero, verso il traguardo in cima, dimostrando a tutti, colleghi e direttori sportivi, tifosi e giornalisti, di essere con molta probabilità il corridore più forte in salita della prima settimana di Tour.
La temporanea conquista della maglia gialla
La seconda settimana. Nella seconda fase del Tour iniziano davvero le salite: prima sul Massiccio Centrale, poi sui Pirenei. Se per l'Astana iniziano i problemi con i ritiri di Cataldo e Fuglsang, è proprio qui che senza dubbio Aru dimostra una cosa: è davvero uno degli uomini da battere in questa edizione della Grand Boucle. Tappa 12. Dopo i Gran Premi della montagna di Col de Menté, Port de Balès, Col de Peyresourde ed una breve discesa, in circa dieci corridori si trovano ai piedi dello strappo finale: tra questi Aru, Bardet, Uran, Froome ed il compagno di squadra di Froome, Mikel Landa. Qui succede ciò che non ti aspetti: Aru tenta l'allungo. Non uno scatto, ma un allungo.
Si guarda ripetutamente indietro e vede una cosa semplice: Chris Froome non sta bene. In quel preciso istante, il corridore sardo decide una cosa: tirare dritto. Forse lo scopo è vincere la tappa, forse invece è mangiare secondi ai diretti rivali di classifica generale. Bardet e Uran dimostrano di essere più forti: il francese primo, il colombiano secondo. Subito dietro Aru, poi Landa, che lascia indietro il capitano per cercare di 'rubare' gli abbuoni destinati ai primi tre, senza riuscirci. Passano i secondi: cinque, otto, dieci, quindici, ventuno. Ventuno secondi in trecento metri, Fabio Aru è la nuova maglia gialla del Tour de France. L'emozione è palpabile, lo si vede dagli occhi lucidi del Cavaliere dei Quattro Mori sul podio del traguardo di Peyragudes, lo si vede dal sorriso di Beppe Martinelli, suo direttore sportivo, intervistato subito dopo l'arrivo.
Tutta l'Italia si è fermata in quel momento, ma in primis si è fermata la Sardegna, sua terra d'origine. Tutti con lo stesso, unico pensiero: Fabio Aru può davvero vincere questo Tour de France.
La solitudine di Aru
Ma la Grand Boucle è una corsa lunga, servono gambe ma anche e sopratutto molta testa. Testa che Fabio dimostra di avere il giorno dopo, in una delle tappe più complicate del Tour: la tredicesima. Isolato fin da subito, senza nessun compagno di squadra, è costretto a difendersi completamente da solo. Questo significa portare con sé la maglia gialla: assumersi la responsabilità di controllare la corsa. Fabio lo fa in solitaria, strenuamente ed egregiamente, ma con tutta probabilità si rende conto di una cosa: con questa squadra è veramente difficile controllare la corsa.
Forse è addirittura impossibile. Teorie complottistiche non troppo insensate dicono che la tappa numero 14, con un arrivo complicato ma pur sempre alla portata del corridore sardo, sia stata programmata per perdere quella maglia gialla guadagnata due giorni prima. Se anche teorie complottistiche non ci fossero, nella testa di molti esperti del settore vi è un unico pensiero: se Fabio vuole davvero puntare a vincere questo Tour de France deve cercare di gestire bene le energie, che siano esse fisiche o mentali. Peccato per i 25 secondi persi per strada, peccato per la maglia gialla persa: ma forse è meglio lasciare a Sky ed AGR2 la responsabilità di controllare la corsa. Se non altro perché l'Astana è veramente impossibilitata a farlo.
Il calo fisico e l'orgoglio del sardo
La terza settimana. Due tappe di montagna attendono i corridori dopo una tappa combattuta a suon di grandi ventagli. Ed alla prima delle due, la diciasettesima, Fabio dimostra subito una cosa: la condizione fisica che lo supportava ad inizio Tour sembra essere di colpo sparita. Forse per un errore di preparazione, forse per i guai fisici rimediati durante l'anno. Fabio perde terreno durante la prima delle due tappe di montagna conclusive; non perde tantissimo ma comunque abbastanza da arretrare in classifica generale. È quarto. Ma le speranze non si fermano. Tutti sperano che Fabio si riprenda, tutti credono che l'ultima tappa di montagna di questo Tour possa essere un trampolino di lancio per il corridore di cuore ed anima sarda.
Tutti ci credono, forse anche i suoi direttori sportivi. Ma lui sa, è consapevole che una brutta bronchite si sta impadronendo del suo corpo. È consapevole che dopo i duemila metri di altitudine ripetutamente superati in queste tappe di montagna la pressione dell'aria cala e respirare diventa davvero difficile. Lo sa lui e se ne rende conto anche la sua squadra, che lo lascia in balia di se stesso a tentare di difendersi nel gruppo dei migliori, mentre davanti il compagno di squadra Lutsenko, in fuga dal mattino, tenta di vincere la tappa. Ma Fabio non molla: con cuore e grinta, si difende. Da solo, strenuamente. Da vero uomo sardo con un vero animo sardo. Ogni pedalata rasenta la sofferenza: la testa vorrebbe spingere, ma le gambe non vanno più.
Aru, un quinto posto da grande corridore
L'ultima crono è solo la conferma di un verdetto: quinto in classifica generale, a poco più di tre minuti dal vincitore Chris Froome. Quinto, con una squadra decimata. Quinto, con una brutta bronchite. Quinto, onorando il Tour dal principio alla fine. Quinto, grazie alla sua enorme capacità di soffrire. Di corridori come Aru ce ne sono davvero pochi. Forse, per orgoglio, è davvero unico. Rimarrà la sua foto su Instagram con un pensiero, un semplice pensiero: "Alla fine, quinto posto: complimenti a chi mi ha preceduto. Voglio tornare il prima possibile, per fare meglio...". Di corridori come Aru ce ne sono davvero pochi. Forse, per orgoglio, è davvero unico.