Un’olimpiade a me e una a te. Come in una conta fra due brave sorelline, Parigi e Los Angeles si sono spartite l’organizzazione dei prossimi giochi olimpici estivi da assegnare. Alla Ville Lumière andrà l’evento del 2024, a 100 anni esatti dall'unica volta che ospitò l'evento. Alla metropoli californiana quello del 2028 e si tratterà della terza edizione, dopo quelle del 1932 e del 1984. Quanto accaduto segna una discontinuità rispetto al rituale di assegnazione della competizione, decisa poco meno di due mesi fa con un voto unanime da parte del Cio, che avrebbe dovuto eleggere la sola candidata per il 2024.

Una deroga alla tradizione cui si è arrivati sull’abbrivo degli eventi, che hanno registrato il ritiro delle città concorrenti, Roma, Amburgo e Budapest.

A quel punto, l’ente con sede a Losanna aveva optato per la doppia assegnazione. Restava quindi solo da stabilire l’ordine. E mentre Parigi ha mostrato di non gradire l’idea di rimandare il progetto di 4 anni, la Città degli Angeli ha ceduto sportivamente il passo. Anche in virtù di una cospicua contropartita, ossia 1,8 miliardi di dollari con cui il Cio rimpolperà le casse degli organizzatori statunitensi, per sostenere il programma di promozione dello sport giovanile negli 11 anni che ci separano dalla XXXIV Olimpiade.

Tutti vincitori, quindi.

Non proprio. A Roma e in tutt’Italia non si è ancora placato il dibattito fra chi ritiene grandi eventi come i Giochi una iattura mangiasoldi. E chi, invece, li considera come un’occasione di rilancio per l’economia locale e nazionale, nonché per l’immagine del Belpaese.

Secondo il classico schema delle opposte fazioni, ognuno ha messo sul tavolo argomenti di un certo spessore.

La sindaca Raggi ha fatto del no alla candidatura capitolina il suo cavallo di battaglia in campagna elettorale e chi sosteneva questa tesi ha presentato studi che dimostravano come storicamente i consuntivi si fossero rivelati molto più salati di quanto preventivato nella fase progettuale. Anche in presenza di comportamenti virtuosi da parte del comitato organizzatore.

Arrivando a correlare il default greco ai giochi estivi di Atene 2004.

Sull’altra sponda, si è fatto un discorso più di principio. Perché rassegnarsi all’idea del declino inesorabile di una grande città come Roma? Perché non credere di poter invertire la rotta e ritrovare la scintilla che brillò nei Giochi del 1960, fermati per sempre nella memoria collettiva dalla struggente istantanea di un Abebe Bikila scalzo vincitore della maratona olimpica?

“Si è persa un’occasione”, ha commentato il presidente del Coni Giovanni Malagò, il cui rammarico è comprensibile. Ma va detto che alla capitale di eterno sembrano essere rimasti soli i mali che l’affliggono. Come l’infinita querelle Atac, che ha portato all’uscita polemica del direttore generale Bruno Rota.

E la triste prospettiva del razionamento dell’acqua. Francamente, pensare di conciliare un quadro come questo con l’organizzazione di un evento complessissimo, quali le Olimpiadi, necessita di una notevole dose di ottimismo.