I baffi folti ed una frangetta che gli copriva la fronte gli conferivano l'aspetto del 'duro'. Sembrava il protagonista di un poliziesco americano, genere tanto in voga negli anni '70. Sul ring era una furia ed ha incrociato i guantoni con alcuni tra i pugili più forti di sempre con lo spirito indomito del guerriero. "Il guerriero del ring", questo il soprannome che lo ha consegnato alla mitologia pugilistica: Luigi Minchillo ha tagliato oggi, 17 marzo, il traguardo dei 65 anni.
Nato a San Paolo Civitate nel foggiano il 17 marzo 1955, campione italiano dei superwelter dal 1979 al 1981, ha detenuto il titolo europeo nella stessa divisione di peso dal 1981 al 1982. Due le sue chance iridate, entrambe nel 1984: non essere mai salito sul trono mondiale è il suo unico rimpianto, in particolare nella prima sfida che lo vide opposto al 'cobra', Thomas Hearns, in cui il campione fu protagonista di un episodio molto controverso, mentre nella seconda venne battuto per TKO da Mike McCallum. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente per farci raccontare alcune tappe della sua lunga carriera.
Il ricordo di Elio Ghelfi
Credo sia doveroso iniziare la nostra chiacchierata ricordando un uomo che ha dato tanto al pugilato italiano come Elio Ghelfi, scomparso due giorni fa.
Una persona che ti porta a fare 2 mondiali e 7 europei, un uomo che ha portato pugili a vincere medaglie olimpiche: il mio è un ricordo bellissimo. Una grossa perdita per il pugilato italiano, difficilmente qualcuno sarà capace di fare ciò che ha fatto lui.
Nella sua carriera lei è andato solo una volta al tappeto quando non era ancora professionista con Sugar Ray Leonard, cosa ricorda di questo match?
Eravamo ragazzini, io avevo 17 anni, accadde nel 1973. Leonard aveva già vinto il guanto d'oro ed io iniziavo a muovere i miei primi passi.
Poi lui ha dimostrato il suo valore, bisogna accettare la sua superiorità.
'Duran? Non faceva così male'
Era già campione italiano ed europeo, invece, quando nel 1981 ha affrontato a Las Vegas un altro mito della Boxe come Roberto Duran. Ci racconti le sue sensazioni in quel momento.
Io ero un pugile e quando salivo sul ring per me non c'era Duran, non c'era Leonard e nemmeno Tommy Hearns. Per me erano tutti quanti uguali. Poi magari erano più bravi di me e vincevano loro, ma per me non faceva mai differenza chiunque mi trovassi di fronte. Quando salivo sul ring io volevo vincere. Poi Duran 'mano di pietra' lo chiamate voi giornalisti che seguite la boxe, ma vi siete mai chiesti se la sua mano era di pietra oltre i 60 kg?
Non faceva male come Tommy Hearns o Marijan Benes per un semplice motivo, perché per salire di categoria ha dovuto mettere 10 kg in più. L'ho fatto anch'io, ma avevo 16 anni: quando invece sei adulto, anche se aumenti di peso la potenza resta la stessa.
'Hearns aveva abbandonato, il regolamento parla chiaro'
La sua prima chance mondiale nel 1984 contro Thomas Hearns, quel match resta per lei un grande rimpianto?
Un rimpianto perché mi è stato rubato. Lui ha abbandonato alla decima ripresa e poco importa se stava vincendo come in tanti mi hanno fatto notare: si è fermato, mi ha voltato le spalle e si è diretto all'angolo ed il regolamento parla chiaro. Ha presente una Ferrari? Se conduce in testa tutta la gara, ma si ferma a 500 metri dal traguardo perché rompe il motore non ha certamente vinto.
Vero che lui stava stravincendo ai punti, ma si è fermato e qualunque filmato parla chiaro, si vede chiaramente quello che è accaduto. Normale che mi resti il rimpianto anche dal punto di vista economico, se avessi preso il titolo avrei sistemato me e le mie due future generazioni.
Il pugile che le ha creato più difficoltà?
Se intende quello che mi ha fatto più male è stato Marijan Benes nel combattimento per il titolo europeo (era il 1982) che io ho vinto, colpiva davvero duro. Poi tutti gli altri di cui abbiamo già parlato sono stati certamente grandi pugili e per loro parla la storia che hanno fatto a livello mondiale. Chiaro che chi arriva a quel livello ha qualcosa in più, ognuno ha la sua qualità: il più tecnico, il più furbo, ma sono stati tutti grandissimi pugili.
La crisi del pugilato italiano, oggi mancano i talenti o le risorse?
I talenti non mancano e non mancheranno mai, purtroppo non ci sono più risorse in Italia che girano per la boxe. Senza andare negli Stati Uniti, pensiamo alla Germania dove tanti pugili vanno a combattere perché ci sta ancora un giro economico ed i match sono trasmessi nelle principali reti televisive. Se non si tirano fuori i soldi difficilmente si va avanti. Oggi si combatte perché gli allenatori tirano fuori i soldi di tasca loro, ma quanti match puoi far fare a questi pugili? Non c'è voglia di fare andare avanti il pugilato, lo volevano addirittura togliere dal giro olimpico, di cosa stiamo parlando? Così non si va da nessuna parte.