Non si tratta di complottismo. L'ipotesi, partita da Kate O'Neill, fondatrice di KO Insights, si è diffusa su importanti quotidiani e ha attratta l'attenzione anche degli esperti. Secondo alcuni, infatti, l'improvvisa viralità dell'hashtag #TenYearsChallenge avrebbe tutti i prerequisiti per far nascere dei sospetti su di esso. In poche parole, potrebbe essere un un metodo di raccolta dati dei visi. La questione ha subito creato un ampio dibattito.

Cosa c'è dietro l'hashtag #TenYearsChallenge

Ormai è arrivato su tutte le bacheche. Innumerevoli persone si sono lasciate trasportare da questo gioco dall'apparenza innocua: postare una propria foto odierna affiancata ad una di dieci anni fa.

Sembra una sciocchezza così divertente che ha preso piede nell'arco di brevissimo tempo.

Forse, però, è stato davvero troppo breve il tempo.

La velocità con cui si è diffuso l'hashtag non è passata inosservata, al punto che alcuni esperti del settore hanno cominciato a sospettare che celi una manovra non casuale, ma dagli obiettivi invece abbastanza netti (e forse deducibili).

Il primo sito a parlarne in modo diffuso è stato Wired, che ha postato un tweet di Kate O'Neill. La donna, fondatrice di KO Insights e l'autore di Tech Humanist e Pixels and Place: Connecting Human Experience across Physical and Digital Spaces, si è domandata infatti cosa celasse un simile evento che sembra tanto una "raccolta dati di massa".

Basta poco, infatti, per capire quale sia il sospetto che inizia a muoversi. Se volessimo addestrare un programma al riconoscimento facciale e a valutare l'invecchiamento di un viso, sarebbe necessaria una raccolta di dati enorme. Facebook e altri social già possiedono delle funzionalità che permettono il riconoscimento facciale, ma hanno ancora dei limiti.

Adesso però spunta fuori proprio l'hashtag #tenyearschallenge che risolve da solo il problema e si diffonde in modo virale nell'arco di pochissimo tempo. Che sia guidato o meno, esso ha creato esattamente quella banca dati di cui necessiterebbe un'azienda interessata a creare un software per il riconoscimento dei visi anche nel loro progressivo invecchiamento.

Facebook da parte sua ha già avanzato una risposta per tirarsi fuori da simili sospetti. Un portavoce del social ha dichiarato che il meme si è autogenerato. Ha inoltre aggiunto che "Facebook non ha iniziato questa tendenza", e anche che "Facebook non guadagna nulla da questo meme".

I sospetti però rimangono, poiché negli ultimi anni simili eventi si sono già verificati. Ad esempio con la questione di Cambridge Analytica e alla conseguente estrazione di dati di 70 milioni di persone.

Cosa c'è di sbagliato nel riconoscimento facciale?

In linea teorica non ci sarebbe nulla di sbagliato nel riconoscimento facciale. Proprio grazie a esso sono stati ritrovati quasi 3000 bambini scomparsi a Nuova Delhi, un numero non indifferente.

Inoltre può essere fondamentale alle forze dell'ordine per intercettare e riconoscere ricercati e terroristi di qualsiasi genere.

Al tempo stesso, però, se questi dati arrivano alle aziende pubblicitarie, potrebbero utilizzarli nel medesimo modo in cui già utilizzano i big data dei nostri smartphone e dei nostri pc.

Quante volte abbiamo visualizzato pubblicità affini all'argomento di cui stavamo parlando, oppure di qualche oggetto che avevamo cercato?

Allo stesso modo, se anche il sistema di riconoscimento facciale entrasse definitivamente nel mondo del marketing, potremmo cominciare a vedere pubblicità riferite solo a noi anche in luoghi pubblici, magari su un cartellone o su uno schermo. Sembra uno scenario da fantascienza, ma oggi esistono già le tecnologie che permetterebbero questo.

Manca, appunto, solo quell'ultimo passo e quella banca dati di visi che non esiste... o meglio, che non esisteva sino a poco tempo fa.

E dunque, in fin dei conti, proprio questo è il rischio: ritrovarsi in uno scenario da fantascienza (distopica).