Il finale è arrivato, inaspettatamente (o forse no) più grave di quanto i toni della puntata non lasciassero supporre. È stato un tremendo bagno di realtà quello che ha sorpreso ieri sera gli spettatori della seconda stagione de “Il giovane Montalbano” e che conferma la qualità davvero alta di questo successo tutto italiano, in un panorama di serie nostrane spesso deludente o privo d’appeal per il mercato estero.
Segni premonitori di una tragedia annunciata
A dire la verità, il motivo per cui Montalbano potesse restare nella sua Vigata e rinunciare a raggiungere la storica fidanzata Livia in quel di Boccadasse era già stato preannunciato: aveva a che fare con il periodo storico in cui “Il Giovane Montalbano” si svolge – il 1992 – e con certi brandelli di telegiornali e interviste ai protagonisti dell’epoca sparsi durante le puntate.
È forse il volto e la voce di Giovanni Falcone catturati dallo schermo di un vecchio tubo catodico, mentre Montalbano cammina ignaro di fronte a una finestra a metà puntata, a dare l’indizio maggiore su dove finirà questa seconda stagione.
Dopo una puntata dedicata alla risoluzione di un caso difficile, che si lascia dietro ben tre morti e coinvolge traffici di droga con il Sud America, e un lungo e sofferto tira-e-molla fra Livia e Montalbano a proposito del prossimo trasferimento del commissario a Boccadasse, i giochi sembrano fatti. Ma, in un impeto di nostalgia, Salvo Montalbano ritorna a Vigata. È così che in sottofondo cominciano a passare estratti di cronache dell’epoca: si parla di un terribile attentato, le strade sono svuotate, una gazzella della polizia è abbandonata, le portiere lasciate frettolosamente aperte, davanti al commissariato.
C’è paura e smarrimento nell’aria, nei volti dei colleghi di Montalbano, tutti riuniti davanti all’unico, piccolo televisore a loro disposizione. Camilleri, con una stilettata improvvisa e profonda, sorprende e spiazza così lo spettatore quando è più rilassato e la realtà torna a farla prepotentemente da padrona anche nella fiction.
E la puntata si chiude così, subito dopo che Livia ha ammonito il suo Salvo: «Resta a Vigata, Salvo, è la tua terra». Primo piano sul volto intriso di rabbia impotente del commissario, poi il buio.
Anche il pubblico premia la qualità
Non è soltanto questo finale “crudo”, vero, una doccia ghiacciata da cui non è facile riprendersi, soprattutto se si era già abbastanza coscienti all’epoca dei terribili fatti per ricordare, a fare de “Il Giovane Montalbano” un altro esperimento riuscito.Gli attori – fra tutti spicca sicuramente Michele Riondino nella parte di un Montalbano a cui non siamo abituati, nell’aspetto fisico lontano da quello di Zingaretti ma molto più vicino all’originale del libro – sono tutti preparati e all’altezza dei ruoli che sono chiamati a interpretare.
Non si rifanno ai loro precedenti “maturi” ma danno vita propria ai personaggi, rivedendoli e ri-aggiornandoli.
“Il giovane Montalbano” è stata sicuramente una ventata di freschezza in una serie che, dopo tanti anni di messa in onda, cominciava a segnare un po’ il passo. E se non è al livello dei quattro, magistrali episodi della prima stagione de “Il commissario Montalbano”, lo sfiora e si rivela molto godibile e piacevole. E il pubblico lo premia.
Non sono disponibili i dati Auditel di ieri sera ma, fino allo scandalo, si sono sempre registrati ottimi ascolti, un segno che la qualità paga. Molti si chiedono se ci sarà una terza stagione de “Il Giovane Montalbano”. Un finale così sembra fatto apposta, però, per dire allo spettatore: «È qui che la giovinezza di Montalbano finisce, che la sua “innocenza”, gli viene strappata via. Dopo nulla sarà più come prima». Se poi la Rai avrà ancora intenzione di produrre una terza stagione, la speranza è che sia all’altezza delle precedenti.