L'aria non è soffocante ma Bresso, questa ultima propaggine di Milano in terra lombarda, è un po' come un uomo che ha perso tutto e rimane solo sulla strada, senza sapere dove andare.

Tra le sette e le otto di sera i grandi palazzi svettano sulla via principale. E' caldo, ma le auto sono tutte parcheggiate davanti e la linea ferroviaria corre imperterrita su un lato. Il Parco della città è il polmone vivo, ma le poche sparute persone che si aggirano sono creature povere e desolate.

Alcuni si muovono in bici, uno, nascosto dietro un cespuglio, urina senza neanche cercare di nascondersi.

Due ceffi poco rassicuranti svoltano alla mia sinistra, e in alto nei palazzi di quindici venti piani le finestre sono chiuse. Ogni tanto qualche finestra si apre. Si affacciano degli anziani, con gli abiti dimessi di un'estate infuocata, ma la solitudine della vecchiaia, lo stato di abbandono e di miseria qui è palpabile ad ogni passo. E si fa truce, quasi un fantasma da cancellare, che in questa estate bussa alla porta e si presenta negli incubi delle due del mattino.

La vecchiaia e Bresso d'estate sono un binomio inevitabile, alle porte di una Milano trasformata.

Faccio qualche passo sempre sul Viale Vittorio Veneto: davanti a me un centro commerciale, quello che una volta era un centro commerciale.

Le vetrine sono vuote. Le saracinesche chiuse, un silenzio tombale, interrotto dal rumore di uno sparuto gruppo di giovani di colore che popola il grande bar del centro. Dietro, una pizzeria, ma alle sette e trenta non c'è nessuno: ad urlare è il cuoco egiziano che infastidito da un perdigiorno lo apostrofa con un "vattene, scemo!".

Intravedo la sagoma dello scemo che corre via saltando sulla sella di uno scooter.

Sto ritornando all'albergo. Passo di nuovo davanti al Parco della città: silenzio e vuoto. Tre cornacchie si sono appollaiate sul tetto del palazzo antistante. Con il loro crac una ad una spiccano il volo dal tetto al grande ippocastano che si para loro davanti.

'Crac' fa la prima, e spicca il volo, 'Crac' fa la seconda , e segue la compagna , 'Crac,crac, crac' fa la terza mentre vola inseguendo le altre due. E Bresso è lì, silente, calda e desolata in un sabato di luglio del 2012, mentre per vedere un po' di folla devi recarti all'Aschan di Cinisello, al Carrefour o al Centro Vulcano.

Ma anche lì, davanti a vetrine che urlano sconti bollenti, da 50 % e 70%, la movida è contenuta e a comprare sono pochi, pochissimi.

La Milano che si presenta ai miei occhi è una città pacata e silenziosa. I vecchi sono in casa, i giovani sono pochi e sparuti. Le famiglie, quelle giovani degli operai,degli impiegati e degli emigrati, con due o tre bambini al seguito sono sedute davanti alle gelaterie e senti il loro vociare allegro e festoso.

Per le strade non esiste passeggio, solo qualche tramvai che fa la solita corsa e tutto è fermo in questo sabato spettrale di mezza estate . Anche l'Alcatraz, la più rinomata discoteca di Milano, quella che accoglieva i gruppi musicali della sperimentazione più hard, è chiusa, dicono da un mese.

Silenzio ovunque. Le grandi periferie sono assopite, i bar, le pizzerie, le birrerie semideserte e ti chiedi cosa sia accaduto al motore della Lombardia e dell'Italia. E ti chiedi ancora cosa abbia provocato questo stop. Certo è che tutto, quasi tutto è fermo. Di tanto in tanto senti negli orecchi il crac delle cornacchie, guardi verso gli scheletri dei palazzoni che stanno nascendo , con le gru che tengono sospeso per caso un qualunque carrello e pensi che lassù, a trenta metri di altezza, tutto, proprio tutto  in questa immensa metropoli, sia sospeso e stia attendendo, proprio come quel carrello che dondola davanti alla finestra del tuo albergo, un colpo di vento capace di far cambiare l'aria ferma e stagnante di una recessione che avanza.