Come una premonizione che andava avanti da tempo, sono stati confermati gli arresti - attualmente domiciliari - dell'ex amministratore delegato di Veneto Banca, Vincenzo Consoli. Le accuse contestategli e che avrebbero causato il crack finanziario,facendo perdere aiRisparmiatori decine di migliaia di euro, sono: ostacolo all'esercizio delle funzioni di controllo delle autorità di vigilanza e aggiotaggio, risalente al periodo che va dal 2013 al 2015. Queste indagini sono state portate avanti da un centinaio di esponenti della Guardia di Finanza, che dopo svariate perquisizioni hanno sequestrato decine di milioni di euro a personalità legate alla Veneto Banca.
Solo al banchiere Consoli sarebbe stata bloccata una cifra pari a 1,8 milioni di euro.
Reazione del vicepresidente del Gruppo
Il vicepresidente dell'istituto bancario di Montebelluna (Treviso), Giovanni Schiavon, considera esagerato l'arresto diVincenzo Consoli a distanza di un anno dalle indagini, perché non avrebbe motivo di fuga e sarebbe assente il pericolo di reiterazione di reato o inquinamento delle prove ormai tutte sul tavolo della GdF. Il dirigente, inoltre, ha aggiunto che non si spiega perché il caso viene portato avanti dalla procura di Roma, mentre quello che vede coinvolta la Banca Popolare di Vicenza è rimasto nelle mani della Procura della Repubblica della città, lasciando indenni da colpe i suoi ex amministratori, pur essendo indagati per fatti molto più gravi.
Questa situazione avrebbe permesso all'ex presidente della Banca, Giovanni Zonin, di sbarazzarsi di tutti i suoi beni per non rischiare di perderli, prova evidente di una colpa certa.
Il flop bancario e le operazioni "baciate"
Pur non essendo quotata in borsa come altri istituti, la Veneto Banca entrò a far parte dell'operazione "Fondo Atlantico", che le permise di essere salvata e ricapitalizzata, con l'obbligo di adeguarsi al progetto di trasformazione che l'avrebbe portata a divenire una SpA e a sottoporsi al controllo di Bankitalia.
Il progetto, però, non andò a buon fine perché, nel presentare i conti patrimoniali, la banca li spalmò in modo tale da non farli risalire al patrimonio reale. Questo sistema fu messo in atto grazie alle operazioni "baciate" e ai molteplici titoli "parcheggiati" ancora riscuotibili, elementi che mascherarono il vero patrimonio della Veneto Banca.
Le operazioni "baciate" furono concesse soprattutto a persone che non erano in grado di restituire il capitale dovuto, a causa di un mancato controllo bancario che verificasse le capacità economiche del cliente; l'importante era dare un'immagine solida dell'istituto, così da ingannare i risparmiatorioccultando il futurocrack.
Clienti sul lastrico
La strategia approntata dai vertici di Veneto Banca ha permesso così di falsificare i bilanci presentati agli organi di vigilanza, permettendo all'istituto di avere le carte in regola per rimanere nel range dei parametri richiesti alle banche, e riuscendo anche a stabilire un importo di vendita per azione di molto superiore al reale valore. Quest'operazione avrebbe sancito, di fatto,il crack di Veneto Banca,gettando sul lastrico migliaia di risparmiatori veneti che hanno perso il proprio denaro investendo su una banca da tempo risultata fallimentare.
Unica possibilità dei clienti che hanno contratto le famose operazioni "baciate" è quella di ricordare la tesi di nullità delle stesse, come dichiarato dal giudice Anna Maria Marra in un documento del 2016, in riferimento all'articolo n° 2.358 del codice civile.