In una giornata Politica dai connotati più da sommossa sudamericana che da consultazione democratica europea, mentre la Guardia Civil bloccava il centro di raccolta dati e impediva l’effettuazione del voto in 319 seggi su 2600 e negli altri 2300 la folla degli attivisti incanalava palesemente gli elettori ad esprimere il loro sì all’indipendenza e alla repubblica, nelle strade, circa 800 persone rimanevano ferite, tra cui 33 delle forze dell’ordine.

Dopo poche ore, il “caudillo” catalano Carles Puigdemont ha annunciato che il 42% degli aventi diritto avevano espresso liberamente il proprio voto e circa il 90% di essi avevano votato per l’indipendenza della Catalogna dalla Spagna e la forma repubblicana.

Come fossero stati ottenuti tali riscontri non è dato da capire, visto che il centro di raccolta voti era stato bloccato dalla Guardia Civil.

In mezzo a tutto ciò, è sconcertante la reazione del capo del governo spagnolo Mariano rajoy, il quale continua a dichiarare che non si è svolto alcun referendum in catalogna. Ancor più quella del Capo dello Stato, Re Felipe V che, pur rischiando di grosso di perdere la regione più ricca e industrializzata del suo reame, continua a non battere assolutamente ciglio.

Puigdemont canta vittoria

Il presidente della regione (generalitat) catalana, Puigdemont, dopo aver diffuso i dati, ha annunciato che li avrebbe trasmessi quanto prima al parlamento locale "affinché agisca come previsto dalla legge del referendum" e, cioè, proclami la Repubblica indipendente entro 48 ore.

Puidgemont è sicuro di se stesso ma, in realtà, la sua maggioranza, nel Parlamento catalano è abbastanza risicata e non è detto che all’interno della stessa, i suoi parlamentari continuino a seguirlo in un braccio di ferro dall'esito incerto.

La legge del referendum, poi, oltre ad essere in contrasto con la Costituzione spagnola – una delle più democratiche del mondo e che, nel 1978, fu approvata con referendum dal 90% dei catalani – contrasterebbe anche, secondo il Quotidiano El Pais, con lo Statuto di autonomia della Catalogna, perché approvato senza la maggioranza qualificata dei due terzi e senza aver ottenuto il parere preventivo del tribunale costituzionale della Catalogna stessa.

Puigdemont, infine, continua ad appellarsi all’Europa, che chiama a mediare, sperando che stia dalla sua parte ed accolga la Catalogna come suo ventinovesimo (o ventottesimo, dopo la “brexit”) Stato membro. Il presidente catalano non si rende conto – o fa finta di non rendersene conto – che la secessione da uno Stato membro dell’Unione Europea significa “secedere” dall’Unione stessa.

Come reagirà l’Europa?

Poiché la Spagna fa parte dell’eurozona, inoltre l’indipendenza vuol dire anche uscire dall’euro, con tutte le conseguenze per l’economia catalana e, soprattutto, per le entrate turistiche. C’è chi ha fatto notare, inoltre, che i due terzi della produzione catalana è assorbita dal resto della Spagna (e per l'80-90% nella UE), così che l’apposizione di dogane alle nuove frontiere sarebbe un disastro, per Barcellona.

All’interno dell’Unione, non c’è soltanto Jean-Claude Juncker a proclamare che uscire dalla Spagna, per la Catalogna, significherebbe uscire dall’Europa, ma anche molti Stati membri con forti componenti autonomiste (o indipendentiste), come il Belgio (regione fiamminga) e la Francia (Corsica) o iper-nazionalisti, come Ungheria e Polonia vedono come il fumo agli occhi l’appoggio europeo alla “secessione”.

Qualcosa dovrà per forza muoversi a Bruxelles o a Francoforte, non foss’altro perché l’esposizione di Madrid verso la UE e il FMI è troppo alta per rischiare che, con l’uscita della Catalogna, non riesca più a far fronte ai suoi impegni. Inoltre, in un mercato che sta appena uscendo da otto anni di crisi economica, rendere difficoltosa l’esportazione di beni e servizi anche a Barcellona, dopo la “brexit” e il neo-protezionismo trumpiano sarebbe un osso troppo duro da trangugiare.

Una eventuale mediazione europea, quindi, è prevedibile, oltre che assolutamente auspicabile ma non potrà prescindere dal mantenimento dell'integrità territoriale spagnola, in cambio di una maggiore autonomia alla Catalogna, soprattutto in campo fiscale.