Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, è apparso a Beirut, in Libano, vestito con l’uniforme militare per fare visita alle truppe italiane presenti alla base Unifil di Shama. Con lui c’era il capo dello Stato maggiore della Difesa, Claudio Graziano, e l'ambasciatore italiano in Libano, Massimo Marotti.
L’arrivo di Renzi
La visita istituzionale di Renzi, con tanto di selfie e tweet, ha voluto rafforzare la risposta dell’Italia alla guerra contro il terrorismo. “Dobbiamo rispondere lavorando costantemente per non farci sconfiggere dalla paura in patria, ma venendo anche qui, con la consapevolezza e l'orgoglio di essere italiani", ha detto il premier.
Renzi ha sottolineato che questo è un momento storico per la regione, che merita più attenzione da parte dell’Europa. Gli italiani sono presenti sul territorio libanese con l’Unifil, la forza di interposizione delle Nazioni Unite al sud del Libano, nel confine con Israele.
Stesse divisioni
Ma poco è cambiato in Libano da quando, dieci anni fa, sono andati via i soldati siriani che avevano occupato il Paese. Dopo l’assassinio dell’ex primo ministro libanese Rafik Hariri, il 14 febbraio del 2005, è cominciata la Rivoluzione dei Cedri. Il presidente siriano Bashar al-Assad si è visto costretto a ritirare le forze dal Libano e mettere fine alla tutela sul Paese. Oggi invece sono i miliziani libanesi di Hezbollah che stanno aiutando le brigate ribelli contro il regime di Assad.
Un Paese, due bandi
Uno degli effetti immediati del ritiro delle forze siriane è stato il rafforzamento del movimento Hezbollah, l’unico gruppo sciita che dopo la guerra civile libanese mantiene ancora le sue armi e combatte con la Siria e l’Iran. Un’altra conseguenza è stata la destabilizzazione della politica libanese, divisa in due fazioni: a favore della Siria e contro la Siria.
Hezbollah e i suoi alleati (sciiti e maroniti) sono dalla parte siriana-iraniana, mentre il principale gruppo sunnita, il Movimento Mustaqbal di Saad Hariri (figlio dell’ex premier ucciso) e i suoi alleati cristiani, sono dalla parte della coalizione occidentale con gli Stati Unti, Francia ma anche l’Arabia Saudita.
L’unica differenza
Secondo Barah Mikail, ricercatore del think tank Fride, “la Siria ha meno influenza sul Libano rispetto a 10 anni fa, anche se conta adesso su agenti di intelligence dentro il Paese. Ma non è così determinante sugli affari politici interni come lo era nel 2005. Questa è la gran differenza”. L’influenza di Damasco però continua in maniera indiretta, attraverso le fazioni politiche che fanno parte della strategia regionale. Per l’analista, il regime di Assad si è rafforzato grazie alla strategia militare di Hezbollah. Nella battaglia di Al Qusayr, per esempio, è stata decisiva la partecipazione della milizia sciita.
Speranze di pace
Tutte queste divisioni che si mantengono nel tempo contribuiscono alla paralisi delle istituzioni libanesi.
Il ruolo della presidenza, ad esempio, resta insignificante. Mikail crede che le speranze di un accordo tra i gruppi in conflitto è illusorio: “È da un anno che non riescono a mettersi d’accordo in Parlamento su chi deve occuparsi dell’incarico legislativo, che secondo il sistema deve restare in mano a un cristiano. Hezbollah è uscito più forte, non solo per la sua capacità in Libano, ma perché riesce a operare in più fronti, come quello in Siria e in Israele”.