Si chiamano fagi, sono dei virus in grado di infettare selettivamente i batteri, moltiplicandosi al loro interno fino a farli esplodere. Senza alcun effetto per le cellule del nostro organismo, quindi senza effetti collaterali. Sembra un film di fantascienza ma così non è. Mentre in occidente, per decenni, abbiamo controllato efficacemente quasi tutte le infezioni batteriche con degli antibiotici, altri Paesi, come la Georgia (ex Unione Sovietica), hanno usato i batteriofagi come antibatterici. Adesso noi abbiamo un problema: un uso smodato degli antibiotici ha finito per renderli progressivamente inefficaci per il sopraggiunto fenomeno della resistenza batterica.
Allora anche noi iniziamo a guardare con interesse questa numerosa famiglia di virus, i batteriofagi (o semplicemente fagi).
The 4th World Congress on Targeting Infectious Diseases: Phage Therapy 2016
E’ in programma nei prossimi giorni a Parigi, il convegno mondiale sulle infezioni. Il tema scelto per l’edizione 2016 è la terapia con i fagi. L’obiettivo del meeting è fare il punto sui recenti progressi fatti in questo campo, una maggiore comprensione dei meccanismi, e le prospettive verso unapossibile applicazione clinica.
L’argomento, certamente non si esaurirà con questo incontro ma il congresso di Parigi segnerà il passo nel campo delle infezioni batteriche, in attesa di iniziare una nuova era.
Intanto proviamo a chiarire cosa sono i batteriofagi (o fagi).
Sono dei virus che sfruttano i batteri per moltiplicarsi e diffondersi. Strutturalmente, sono strutture proteiche costituiti da una “testa”, un “collo” e una “coda” che reca alla sua estremità 5-6 “fibre”. Sono proprio queste fibre che si legano alla membrana del batterio, permettendo così il trasferimento (iniezione) nel batterio del materiale genetico (DNA o RNA) contenuto nella “testa”.
Di batteriofagi esistono numerose famiglie, di struttura più o meno complessa. Quella che abbiamo appena descritta, è una tipica struttura complessa (a spillo) della serie T.
Scoperti prima ancora degli antibiotici
I fagi sono presenti ovunque, dal nostro intestino ai terreni, dal suolo alle acque. E proprio nelle acque del fiume indiano Gange, che nel lontano 1896 Ernest Hanbury Hankin ipotizzò l’esistenza di qualcosa che contrastasse l’infezione del colera.
Vent’anni dopo, a delle conclusioni analoghe erano arrivati alcuni scienziati inglesi ma la Prima Guerra mondiale bloccò le ricerche. Alll’Istituto Pasteur di Parigi, il microbiologo Félix d'Hérelle, studiando la dissenteria ipotizzò anche lui l’esistenza di qualche piccola entità battericida che chiamò batteriofago. Nel 1917 dei bambini colpiti da dissenteria vennero trattati con questi fagi. Negli stessi anni, anche i russi usarono i fagi per curare le infezioni, soprattutto sui soldati dell’Armata Rossa.
E’ bene ricordare che la scoperta della penicillina, ad opera di Alexander Fleming, arriverà solo nel 1928. Quindi i fagi erano stati individuati e ed usati prima ancora degli antibiotici.
Con l’introduzione nell’uso clinico della penicillina (1942) si aprì una nuova era e da allora, in occidente iniziò la corsa alla scoperta di nuovi antibiotici. Da segnalare che da subito (1945) furono segnalati i primi fenomeni di resistenza.
Negli ultimi anni, si stanno susseguendo allarmi su allarmi in merito all’antibiotico resistenza, così in occidentesi sta guardando con interesse a questa vecchia arma antibatterica. I risultati di un primo studio clinico, pubblicato nel 2009 su Journal of Wound Care, per valutare la sicurezzadi questi fagi,aveva mostrato che erano ben tollerati ma non efficaci.
In seguito altri studi sono stati approvati ed eseguiti, soprattutto incoraggiati dalla decennale esperienza dei georgiani dove i fagi sono stati, e continuano ad essere impiegati con successo. I primi risultati si stanno ottenendo anche da noi e il convegno di Parigi servirà a fare il punto proprio su questo. E a rispondere alla domanda: dove siamo e dove possiamo andare?