Frane e alluvioni espongono a costante pericolo quotidiano milioni di cittadini e ogni anno sono ingenti i danni economici per dissesto idrogeologico del Paese. C'è una certa indifferenza su prevenzione e tutela territoriale e in nome del lavoro si continua a costruire in zone a rischio. Il quadro che emerge dal rapporto "Ecosistema Rischio 2013" presentato da Legambiente e Dipartimento della Protezione Civile rende conto delle attività svolte per mitigare il rischio idrogeologico di oltre 1500 comuni italiani.

Il dossier evidenzia la presenza nel nostro territorio di un'urbanizzazione selvaggia presso aree fragili in tema di sicurezza ambientale.

In particolare, tra i Comuni analizzati, sono a rischio abitazioni (nell'82% dei comuni), interi quartieri (21% dei casi), impianti industriali (58% dei casi), scuole e ospedali (nel 18%) e strutture ricettive (nel 24%). Soltanto il 4% dei Comuni ha attuato programmi di delocalizzazione delle abitazioni a rischio e solo il 2% ha spostato impianti industriali a rischio. Nel documento si evidenzia come il 64% dei Comuni svolge regolare attività di manutenzione di corsi d'acqua e difesa idraulica, e il 67% conferma interventi di sicurezza nel territorio. Interventi tampone che non sempre efficaci e duraturi. Sono sei milioni i cittadini che si trovano ogni giorno in zone esposte al pericolo di frane o alluvioni.

Sul fronte della prevenzione e pianificazione dell'emergenza, l'85% dei Comuni esaminati ha adottato un piano di emergenza, ma in generale le amministrazioni comunali mostrano ritardi nelle attività d'informazione alla cittadinanza e nelle esercitazioni programmate e costanti per testare i piani di emergenza e protezione civile.

Nel dossier annuale di Legambiente e Dipartimento della Protezione Civile i Comuni più virtuosi sono Calenzano (FI), Agnana Calabra (RC) e Monasterolo Bormida (AT) e con punteggi bassi si collocano all'ultimo San Pietro di Caridà (RC), Varsi (PR) e San Giuseppe Vesuviano (NA). È chiaro che l'urbanizzazione diffusa e caotica, l'abusivismo edilizio e l'alterazione dei corsi d'acqua amplificano il rischio e le risorse stanziate tendono a tamponare i danni prodotti ma non anticipano le tragedie con piani d'interventi concreti di riqualificazione territoriale.

Per la Protezione Civile poco è cambiato riguardo all'attenzione del territorio e alla sua salvaguardia e auspica una "revisione delle politiche di uso del territorio". In buona sostanza, dall'analisi emerge come i modi di gestire il territorio e l'uso del suolo non è cambiato negli ultimi dieci anni e ciò si può notare dall'esiguo numero di delocalizzazioni di strutture dalle aree a rischio e dal fatto che si continua a costruire nelle zone a rischio.