Negli ultimi anni gli avanzamenti tecnologici hanno permesso l'estrazione di idrocarburi anche nei luoghi più remoti della sfera terrestre ed a profondità sempre maggiori. Una delle aree interessate è l'Artico. La tendenza a cercare nuovi pozzi si è talmente intensificata che il governo americano ha deciso di emanare un insieme di norme, volte a tutelare la sicurezza di tali aree, con l'obiettivo di evitare disastri ambientali, verificando l'effettiva efficienza delle compagnie di trivellazione.
Con tale atto si riconosce finalmente la pericolosità e le reali difficoltà tecniche che vi possono essere operando in tali zone, come ad esempio il Mar di Chukchi, il quale si trova tra l'Alaska e la Siberia.
L'amministrazione Obama, memore del disastro ambientale avvenuto nel 2010 nel Golfo del Messico e con protagonista la British Petroleum, oggi obbliga le compagnie a presentare alle autorità un piano dettagliato in merito alle sicurezza delle operazioni. Dovranno inoltre dimostrare la loro reattività in caso di incedente con perdita di idrocarburi: 24 ore per attivare un sistema che blocchi la perdita e una settimana per le attività di contenimento. Le autorità affermano che gli standard richiesti provengono dall'esperienza maturata a seguito del disastro della Royal Dutch Shell avvenuto durante la prima stagione di perforazione in Artico nel 2012, dove la piattaforma Kulluk naufragò e costò alla Shell più di un milione di dollari di multe per l'inquinamento e dimostrò l'inefficienza delle cupole per il contenimento delle fuoriuscite di petrolio.
La Shell sta già pensando di tornare nell'Artico quest'estate, per una serie di nuove esplorazioni e dichiara di aver già preso in considerazione e applicato parzialmente le nuove misure imposte dal governo americano.
I gruppi ambientalisti non sono soddisfatti di tali norme e affermano che il controllo dell'effettiva attuazione delle procedure richieste è praticamente impossibile, dato che la più vicina guardia costiera si trova a 1000 miglia dalle zone interessate e che l'unica opzione valida sarebbe dunque quella di chiudere l'area a future trivellazioni.
Susan Murray, vice presidente dell'U.S. Pacific Executive dichiara che: "fintanto che le compagnie operano in maniera sicura e rispettando le norme senza danneggiare l'ecosistema dell'oceano Artico, il governo non ha competenza nel permettere o meno la loro presenza nella regione".