Maggio 2003: il Porto di José Mourinho compie un'impresa destinata a rimanere nella storia del calcio, conquistando la Champions League battendo in finale un'altra outsider di lusso proveniente da Monaco, il principato. Tre a zero, fuochi d'artificio e un muso un po' lungo, lì, nascosto tra il frastuono dei festanti e e i flash delle macchine fotografiche. José Mourinho scansandosi leggermente dalle premiazioni pensa già al futuro: in tasca ha già un ricchissimo contratto firmato con il Chelsea di Abramovich. Inizierà l'era dello Special One.
Un vincente sbruffone
Tre anni ricchi di successi, interviste memorabili, liti e provocazioni (mitiche quelle con Arsene Wenger, guru dell'Arsenal). Una sbruffonaggine, a volte benigna altre no, supportata e giustificata dai successi in campo, giusto per non apparire fine a sé stessa o ridicola, come a dire: vinco, posso dire e fare ciò che voglio. Vince si, anche perché si ritrova ad aver un carisma ed un ego sproporzionato, che lo aiuta ad aver la faccia tosta di richiedere al club i giocatori più forti sul mercato, sfruttando al massimo le potenzialità economiche dei presidenti. Al Chelsea vogliono la Champions ma non arriva. Ma allora Mourinho è un vincente? Si. Lo dimostrerà a Milano, sponda Inter.
Moratti e i tifosi chiedono la coppa dalle grandi orecchie e lui gliela porta nel Maggio 2010, nell'annata del triplete. Ma non prima di aver reso celebri e memorabili espressioni come "ma io non sono un pirla" alla prima conferenza stampa, e "prostituzione intellettuale" rivolto ai giornalisti servili italiani. Grazie a Ibra prima, e a Milito poi, sarà ricordato dal tifo interista per sempre.
Va al Real Madrid, ricercando lo scontro, con l'eterno rivale Guardiola, ma nella capitale spagnola la vita è dura: vince ma non convince mai totalmente. Tante le scelte apparse eccessive agli occhi dei tifosi e della stampa... e a quelli di Tito Vilanova, quasi accecato da un dito nell'occhio messogli dallo Special One, in una memorabile gara di Supercoppa di Spagna.
L'esagerato difensivismo, la ricerca di un capro espiatorio trovato in Iker Casillas, pupillo di casa, finito in panchina per pochi errori: Mou è alle strette. Al Real doveva vincere, ma si è attirato più ire che elogi. Il rischio di apparire ridicolo si è quasi concretizzato, meglio fuggire. Si rifugia dai suoi amati Blues dove combina più disastri che vittorie, a capo di uno dei peggiori Chelsea degli ultimi anni.
Che ne sarà di Mou?
Ora al Manchester United guida la squadra di una società diversa da quella che ha reso i Red Devils quel grande team che era fino a qualche anno fa, che domina a livello di branding ma che ha perso lo spirito proletario d'un tempo, che spende tantissimo ogni anno ma si circonda di poche bandiere.
Lui, a parte il continuo, infinito, botta e risposta con Wenger, sembra un Mourinho consapevole del ridimensionamento personale: non più un super vincente, bensì un guru scelto più per nome che per capacità. Pogba e Ibrahimovic li ha portati a casa, ma non stanno rendendo come vorrebbe la società. Sarà l'andamento delle prestazioni di questi due campioni a mascherare la fase discendente del grande Mou? La stagione è difficile, meglio cautelarsi con la stampa e non eccedere nelle provocazioni.