Intervistare un ragazzo di 15 anni, aspirante calciatore di successo, può essere facile e difficile allo stesso tempo. Difficile perché si immagina di parlare con chi porta in dote una valigia di sogni ancora non del tutto realizzati, e quindi si devono toccare le corde giuste, facile perché ci si può preparare le domande più classiche, sugli idoli, sulle squadre dei sogni, magari pure sui primi tatuaggi e sulle fidanzate. Poi però parli con il diretto interessato e ti trovi spiazzato, ti trovi costretto a rifugiarti nei luoghi comuni, quelli cui i giornalisti si aggrappano spesso per disperazione.

Come quello secondo cui “sono i più piccoli a dover insegnare qualcosa ai grandi”.

Pochi anni, tanto cervello

Nell’estate dei Millennials d’Italia, Pietro Pellegri e Moise Kean, Morgan Pedretti merita molte più attenzioni dei colleghi più “maturi” e già arrivati al grande Calcio. Perché se il genoano è il classico predestinato e lo juventino la “testa calda”, Morgan si staglia come qualcosa di molto più di un portiere promettente. Piuttosto, un futuro uomo con tutti i valori migliori che si possano possedere e che, in tutta sincerità, non si è soliti ritrovare in un calciatore.

La storia di Morgan

Classe 2002, milanese di nascita, ma cresciuto nel varesino, Morgan è reduce da una prima parte di carriera a dir poco tribolata: dopo i primi passi nel club dilettantistico dei Soccer Boys nella sua Sesto Calende, il primo club professionistico a scommettere sul ragazzo è il Novara, dove Morgan si mette in luce con i Giovanissimi Sperimentali.

Nel 2013 il passaggio al Varese, ma da quel momento non ne è andata dritta una: i bosini e la Pro Patria falliscono, Morgan si ritrova a dover cominciare da zero, ma il noto preparatore Ermes Berton, che lo volle a Varese, gli tende una mano chiamandolo al Verbano, in Eccellenza. Le offerte tornano a piovere per un ragazzo che in poche stagioni, stando ai propri tecnici, ha già mostrato un bagaglio tecnico, con mani e piedi, e di personalità più che confortante, confermato dalle attenzioni di club di media e alta levatura prima e dopo lo svincolo dal Latina.

Il tutto si unisce a qualità morali fuori dalla norma per i coetanei della sua generazione: educazione, rispetto per tecnici e compagni, umiltà e un’incredibile abnegazione negli allenamenti anche nelle situazioni più difficili, senza ovviamente negarsi la voglia di arrivare in alto. Doti frutto, evidentemente, di una base di un'educazione ricevuta dalla propria famiglia e prontamente appresa.

L’incubo di Latina

L’ultima stagione in particolare è stata da incubo e allo stesso tempo da sogno con il Latina. L’incubo ce lo spiegherà il ragazzo ben presto ed è comunque ben noto, viste le vicissitudini che hanno portato al fallimento il club pontino, retrocesso sul campo dalla Serie B alla Lega Pro, disgregando il notevole patrimonio del proprio settore giovanile. Il sogno è coinciso con la “storica” convocazione per l’ultima giornata del campionato Primavera, lui sotto età di 3 anni, contro la Sampdoria. Ma chi si aspetta di trovarsi di fronte un ragazzo con già in testa manie di grandezza e guadagni, si ricreda in fretta: “A Latina con compagni e allenatori mi sono sempre trovato bene, ho trovato bravi mister e amici, oltre che compagni, andavo d’accordo con tutti.

E per uno che vive di calcio come me questo è fondamentale” ci ha detto Morgan. Però…: “Purtroppo a Latina ho vissuto un incubo. Ho avuto preparatori bravissimi, ma poi la situazione si è complicata, per mesi non ho neppure avuto un allenatore dei portieri e ne ho risentito anche sul piano fisico. Siamo stati abbandonati a noi stessi ed io ero anche lontano da casa e dalla mia famiglia. Ma il mio sogno era e resta quello, quindi non posso mollare”.

“Volevo fare l’attaccante, ma la porta mi ha stregato”

Capitolo idoli. Quelli non mancano mai. Ma niente made in Italy: “I miei portieri preferiti sono Neuer e Casillas, il mio stile di gioco è quello, mi piace essere aggressivo e fin dai tempi di Novara, una società molto organizzato dove mi sono trovato benissimo, sono stato abituato a giocare con i piedi, quindi mi trovo bene in questo fondamentale”.

Eppure i primi passi Morgan non li ha mossi tra i pali. Leggere e divertirsi, please: “Fino a 5 anni ho fatto l’attaccante, poi il nonno mi ha fatto diventare portiere. Io volevo fare entrambe le cose, perché ero piccolo e mi piaceva fare gol… ma il mister mi ha messo in porta e la cosa mi è piaciuta subito. Mi sono coordinato col nuovo ruolo che amo molto. Mi sento un portiere dentro”. Timido fuori, quindi, ma con le idee chiarissime dentro…: “A Novara mi chiamavano 'radio' per quanto parlavo con i compagni. Mi piace comandare il reparto, penso che un portiere debba avere una personalità forte”. E allora, vai Morgan. Para, sogna e non smettere di credere che nel calcio del XXI secolo ci sia ancora spazio per giovani “normali”.