Ruben Sosa torna a parlare di Inter, della 'sua' Inter e lo fa in un giorno particolare. Era il 3 gennaio del 1993 quando la squadra allenata da Osvaldo Bagnoli batteva 4-0 il Genoa, trascinata dall'attaccante uruguaiano e si posizionava al secondo posto in un campionato che sembrava già virtualmente consegnato al Milan. Quella squadra ebbe il merito, al contrario, di tenere vivo il discorso scudetto fino alle ultime giornate, dando l'illusione ad un certo punto di poter compiere il miracolo. Era l'Inter di Sosa, come già detto, ma anche di Shalimov, Battistini, Manicone e Totò Schillaci.

Ventisei anni dopo, il puntero guarda al suo passato e confessa di amare ancora i colori nerazzurri, tanto da sentirli come una seconda pelle.

'La squadra più forte in cui ho giocato'

Quell'Inter, partita in sordina in campionato, ma capace di ingaggiare un duello con un Milan che rappresentava un'autentica corazzata, resta "la squadra più forte in cui ho giocato" secondo Ruben Sosa. Era stata la Lazio a portarlo in Italia, nell'estate del 1988, acquistandolo dal Real Saragozza. All'Inter approda nel 1992, è l'epoca dei quattro stranieri di cui però soltanto tre possono essere schierati. In attacco avrebbe un formidabile concorrente che risponde al nome di Darko Pancev, ma il macedone si rivela un flop e Ruben diventa presto titolare inamovibile.

Gli stranieri poi diventano tre, l'Inter taglia Matthias Sammer e riesce a trovare la quadratura del cerchio acquistando a stagione in corso Antonio Manicone il cui 'lavoro oscuro' a centrocampo trasforma letteralmente la squadra. Sosa è il primo a beneficiarne, inizia ad andare in gol con estrema regolarità: a fine stagione saranno 20 i suoi centri in campionato.

I nerazzurri arrivano secondi in scia al Milan, ma le stagioni successive saranno meno felici anche se nel 1994 l'Inter vincerà la sua seconda Coppa Uefa: sarà l'unico trofeo sollevato nel suo triennio a Milano. Lascerà l'Italia nel 1995, per lui all'Inter 103 gare e 50 gol. Giocherà fino al 2005, chiudendo la carriera in patria nelle file del Racing Montevideo, Serie B uruguaiana.

"Il mio rapporto con l'Inter era speciale - ricorda ancora Ruben Sosa - perché mi sentivo un tutt'uno con i tifosi". Tifosi che lo hanno amato, un amore autentico ed infinito perfettamente ricambiato.

Specialista dei calci di punizione

Dotato di straordinario talento, aveva nella 'botta da fuori' una delle sue grandi specialità. Il suo sinistro talvolta era micidiale, soprattutto sui calci di punizione. "Non avevo particolari segreti sui calci di punizione, spesso restavo qualche ora in più ad allenarmi nei calci di fermo, guardavo sempre i grandi specialisti: Enzo Francescoli ad esempio, era bravissimo e mi ricordo tante grandi partite insieme in nazionale. Quando la palla era sui 30-35 metri dalla porta era la mia posizione preferita, me la facevo toccare e calciavo fortissimo".

Relativamente ai più grandi specialisti delle punizioni, Ruben Sosa non ha dubbi: "Diego Maradona innanzitutto, lui aveva le mani al posto dei piedi e quando calciava, se non faceva gol prendeva la traversa. Poi Roberto Carlos, potente e preciso e, infine, Roberto Baggio che la pennellava dove voleva. Erano tre divini".