Cina, addio al figlio unico. Una notizia di fine anno passata un po'inosservata, ma che sicuramente potrebbe stravolgere la demografia mondiale. La politica sul figlio unico, vigente in Cina da oltre 30 anni, aveva limitato la possibilità di avere più figli alle coppie delle aree urbane; al contrario in campagna le coppie potevano averne due, nel caso il primo figlio fosse una bambina.
Gli effetti di quest'imposizione statale sono ben noti: invecchiamento della popolazione, aborti selettivi alla ricerca del figlio maschio, con conseguente maggioranza di maschi in una società cinese di 1,3 miliardi di persone.
Ma forse quello che preoccupa di più il governo cinese è la carenza di forza lavoro "giovane", oltre ai costi assistenziali sanitari che in una popolazione anziana ovviamente lievitano non poco. Da qui la decisione presa dal plenum del Partito Comunista cinese e ratificata a fine dicembre dal comitato permanente dell'Assemblea nazionale del popolo. In verità si tratta di un allentamento della legge vigente, in quanto il permesso del secondo figlio è limitato a coppie urbane dove uno dei due coniugi sia figlio unico.
In attesa di un ipotetico piccolo baby boom, la Cina ha varato anche una seconda apertura, in linea teorica non poco importante: la chiusura dei famigerati " laogai", ovvero i campi di rieducazione per delinquenti comuni e dissidenti politici.
A tutti gli effetti, dagli anni 50 una sorta di gulag cinesi. Tuttavia, la chiusura di questi campi di detenzione appare piuttosto nebulosa nella forma e non è ben chiaro dove finiranno gli individui "antisociali" rinchiusi in queste strutture detentive. Amnesty International bolla la decisione del governo cinese come pura propaganda e "fumo negli occhi": semplicemente alcuni campi di lavoro hanno cambiato nome, diventando per esempio centri di recupero per tossicodipendenti. Insomma, il nome cambia ma in buona sostanza la popolazione detenuta è sempre la stessa.