Roma - La storia di Valentina e Fabrizio, testimonia un triste disagio di due persone che hanno un comune e straordinario sogno: diventare genitori. Valentina, ha 28 anni ed è colpita da una malattia genetica. Si tratta di una di quelle malattie rare che inevitabilmente si trasmettono all'embrione in caso di procreazione. La donna, un giorno, scopre di essere incinta; ma, ecco che al quinto mese di gravidanza le viene consigliato di abortire. Un aborto che lei stessa definisce un parto. Lei, che ha deciso di voler interrompere la gravidanza ha considerato una vita ciò che era nel suo grembo.

Purtroppo, la malattia della bambina portata in grembo, è stata rilevata solo al quinto mese, in quanto prima non era possibile identificarla. La donna, dice che è stata lasciata in totale solitudine e lamenta la mancanza dei medici non obiettori. Valentina, in particolar modo sottolinea il pregiudizio che le deriva dalla legge 40. In virtù di questa legge, a Valentina non viene riconosciuto il diritto (o la facoltà) di procedere alla fecondazione assistita e alla diagnosi pre-impianto. Perché questo? Perché nella coppia manca il requisito essenziale per aver accesso a tale procedura, cioè manca la sterilità.  Per la donna e per la coppia, viene negato il diritto di diventare genitori.

Alla Repubblica, dichiarano che la legge interpretata in questo modo, concede loro il diritto di procreare un figlio o una figlia gravemente malati.

E Valentina, conosce bene il significato della parola malato, ragion per cui vuole mettere al mondo un individuo sano. Racconta, il suo calvario tra i medici e l'aborto-parto, a cominciare dalla sua ginecologa. Infatti, quest'ultima si è rifiutata di firmare il foglio per il ricovero. Ma la coppia trova un altro ginecologo.

In questo modo, è stato possibile il ricovero in ospedale. La "vittima" manifesta la sua delusione per la mancata assistenza non solo medica, ma anche umana. Riferisce di essere stata lasciata da sola in un bagno affinché procedesse all'aborto. L'unica compagnia era suo marito; inoltre, racconta del coro di voci degli obiettori di coscienza.

L'Asl di Roma, prontamente ha dichiarato che le affermazioni rese dalla donna non sono aderenti alla realtà dei fatti - "La coppia è stata seguita da due medici non obiettori. E l'espulsione del feto è avvenuta nella stanza di degenza". La tesi difensiva dell'Asl, è stata confermata dai risultati delle prime indagini effettuate e si afferma il principio dell'obbligatorietà della presenza e dell'assistenza dei medici, anche se obiettori. L'aborto, è avvenuto alle ore 3 di notte, a seguito di dolori, vomito, nausea e mal di testa; ma si tratta del normale percorso che si verifica in questi casi.