Stanchi delle violenze, delle distruzioni e della intolleranza religiosa da parte dei miliziani dello Stato Islamico, nella città di Mosul ha preso forma il primo movimento di resistenza armato. Secondo testimoni locali, almeno 5 miliziani islamisti sono stati uccisi negli ultimi giorni in attacchi compiuti da gruppi armati, chiamate "Brigate Mosul", nate per contrastare il regime imposto nella città dai seguaci del "califfo" al-Baghdadi. La scintilla che ha provocato la reazione contro gli jihadisti del Califfato Islamico sarebbero state le immagini della distruzione della tomba di Giona, luogo sacro sia per i cristiani sia per i mussulmani, ma che gli islamisti considerano un luogo di culto idolatrico. Ma già la cacciata dei cristiani dalla città, insieme ad altre minoranze islamiche, e l'inflessibile e violenta applicazione della legge islamica nella sua forma più dura, avevavo trovato l'opposizione della popolazione, anche di chi all'inizio aveva accolto con benevolenza l'arrivo delle truppe del Califfato. Ne sono prova i 16 ulema sunniti uccisi per essersi opposti alla cacciata dei Cristiani da Mosul e più in generale alla interpretazione radicale dell'Islam seguita da questi terroristi. O il professore universitario Mahmound al Asali, mussulmano pure lui, e pure lui ucciso dai terroristi per essersi coraggiosamente opposto alle azioni persecutorie contro i cristiani. O ancora lo sceicco Al Badrani, imam sufi, punito con 70 frustate per aver pronunciato dal minareto preghiere al Profeta non in linea con la "teologia" dei miliziani islamisti.

Mosul è una città che vanta una tradizione secolare di pluralismo e pacifica convivenza tra diverse religioni, culture e tradizioni. I suoi abitanti mostrano di avere nel loro DNA i geni di questa cultura pacifica e tollerante, e le conseguenze iniziano a farsi vedere. Ma non è soltanto a Mosul che si manifesta l'intolleranza verso il Califfato Islamico; un pò ovunque in Iraq e nelle regioni circostanti si osservano segnali di reazione a questa ondata terroristica. A Baghdad si sono viste manifestazioni di solidarietà ai cristiani organizzate da mussulmani che indossavano magliette con la scritta "siamo tutti cristiani" o "io sono iracheno, sono cristiano". La campagna si è poi spostata su Twitter e si è diffusa in altre zone. Una giornalista irachena, Dalia AlAquidi, incurante delle possibili conseguenze del suo gesto, si è presentata davanti alle telecamere con una croce al collo. Un gesto clamoroso per una mussulmana alla dipendenze di una emittente irachena. La giornalista ha spiegato che la cacciata dei cristiani da Mosul è una perdita per tutto il paese, e che chi tace sulle ingiustizie è "un diavolo muto".