Sarà il prossimo 18 settembre il big bang dell'Europa unita? Il verosimile botto potrebbe arrivare dalla Scozia, in vista del referendum sull'indipendenza dall'Inghilterra di Carlo e della regina Elisabetta. In passato ci sono stati altri tentativi, ma sono sempre risultati fugaci. Oggi, invece, per la prima volta i sondaggi -ad una mangiata di giorni dal voto- segnano il sì maggioritario con oltre 10 punti di distacco dagli 'unionisti'. E sempre secondo i sondaggi la dinamica del grafico dei 'separatisti' sta aumentando giorno dopo giorno. Il nazionalista Nicola Sturgeon, in una recente dichiarazione, ha detto che "I dati mostrano che sempre più scozzesi stanno arrivando alla conclusione che l'indipendenza è il modo migliore per proteggere il nostro sistema sanitario, la crescita economica e creare posti di lavoro".

Quelle aspirazioni, perciò, agognate e non ancora acquisite -per esempio- dalla Grecia, Spagna, Portogallo, Italia eccetera che fanno parte dell'Unione Europea con la moneta unica dell'euro e basta. Il sogno del nazionalista Sturgeon potrebbe essere legittimo se i giacimenti petroliferi del mare del nord (principale fonte di ricchezza del paese) restano nelle mani degli scozzesi. Dato che è proprio qui che rischia di cadere l'asino. Si sa quanto sia imprevedibile il mondo dei petrolieri forse, oggigiorno, burattinai dell'alta finanza virtuale. Non per nulla l'ex premier laburista Gordon Brown (scozzese purosangue) ha preferito rilasciare una dichiarazione annacquata di parsimoniosa diplomazia.

E non per nulla quasi tutte le imprese impegnate sul mercato scozzese e quotate a Londra hanno subito accusato un segnale negativo alla notizia della probabile vittoria del fronte del sì. Una situazione, secondo gli analisti, che potrebbe proseguire nel tempo poiché gli investitori non amano l'incertezza ed il salto nel buio.

Ed allora sarà sufficiente sostenere l'economia scozzese esclusivamente con la produzione di Scotch? Per il momento, per evitare l'eventuale secessione, il governo britannico sta studiando delle mosse e dei provvedimenti ad effetto. Concedendo ai sudditi scozzesi meno tasse e più rappresentanza nei luoghi pubblici di Edimburgo.

L'avanzata dei separatisti scozzesi se, però, da una parte spinge Londra a maggiori concessioni, dall'altra parte potrebbe mettere a rischio le casse della Corona britannica, la cui sterlina gode ottima salute rispetto all'euro, ma è pur sempre coinvolta nella palude dell'inflazione e della povertà i cui numeri cominciano a preoccupare già da diverso tempo pure gli inglesi appartenenti alla media borghesia. Il leader della campagna per il no, già ministro delle Finanze, Alistair Darling, ha per adesso riconosciuto che agli scozzesi vanno dati più rappresentanza nel Parlamento. Anche perché la perdita della Scozia, dopo quasi 300 anni, potrebbe segnare per Londra elezioni anticipate. Questa iniziativa, però, potrebbe rivelarsi un boomerang se viene interpretata come un tentativo di compromesso con l'elettorato scozzese.

Comunque sia la patata è stata fatta bollire. Ed in tema di indipendenza dei popoli, lo zar Putin -con i suoi problemi con l'Ucraina e l'embargo o sanzioni economiche dell'occidente- potrebbe spassarsela sotto i baffi pure senza farseli crescere.

La professoressa Nathalie Duclos, docente ed esperta degli studi britannici all'Università di Tolosa II, ha dichiarato che "La Scozia ha pieno diritto all'indipendenza perché Londra ha sempre riconosciuto il diritto all'autodeterminazione ed ha concesso la possibilità di organizzare il referendum. Sembrerebbe nulla a che vedere con i nodi dell'Ucraina e nulla da spartire con l'altro sentimento di separatismo dei Catalani di Spagna. Era il 1° maggio 1707 quando la Scozia entrò nell'unione politica dell'Inghilterra con la successione di Giacomo VI ai troni di Inghilterra e Irlanda per fare parte del grande Regno della Gran Bretagna.