La tragedia si è consumata lunedì scorso, 12 Gennaio, in Arabia Saudita. Una donna di origini birmane ma residente da moltissimi anni a La Mecca, Layla bint Abdul Mutaleb Bassim, è stata uccisa nella capitale. Accusata di aver prima violentato con un manico di scopa la figliola di 7 anni del marito e poi di averla uccisa, è stata decapitata in piazza. Numerosi i presenti. Così si è pronunciato il ministro degli Interni saudita: "non ha mostrato nessuna pietà o compassione nel violentare e nell'uccidere la ragazza. Bassim è stata condannata alla pena di morte per un omicidio brutale dopo che sia la Corte d'Appello sia la Corte Suprema hanno riconosciuto i suoi reati".

La donna, inutilmente, si è dichiarata più volte innocente. Layla è stata trascinata in un parcheggio, qui è stata decapitata brutalmente con una spada. La terribile scena è stata ripresa da uno Smartphone e il video è stato subito messo sul Web. Poche ore dopo è stato censurato e quindi rimosso. La bambina si chiamava Kalthoum bint Abdul Rahman bin Ghulam Qadi.

Dati statistici testimoniano che le esecuzioni in Arabia Saudita sono aumentate in maniera esponenziale a partire dall'estate scorsa, precisamente da Agosto. Mohammed al-Saeedi è un attivista per i diritti umani. Spiega al quotidiano online Middle East Eye che, le esecuzioni pubbliche, strumento di terrore messo in atto dal governo per tenere sotto controllo la popolazione, posso essere svolte in due modi differenti.

O vengono iniettati al prigioniero degli antidolorifici o viene ucciso senza di essi. Ovviamente in questo secondo caso la persona soffre di più. La donna è stata uccisa sul momento, senza la loro somministrazione.

È emergenza nel Paese: ultimamente non solo sono aumentate le condanne a morte ma queste sono state estese anche a crimini e a reati non letali. Molti cittadini sono infatti stati uccisi per spaccio, per apostasia e addirittura per stregoneria. Ottantasette cittadini giustiziati nel 2014, già 7 nelle prime due settimane del nuovo anno.