Ci sono eventi, spesso anche tragici, dai quali si può imparare qualcosa. Per migliorare, perché non ricapitino. Purtroppo non è stato il caso dell'Heysel. Il trentennale della strage di Bruxelles, dove persero atrocemente la vita 39 persone di cui 32 italiane, è l'occasione per ricordare le vittime ma anche per rimarcare, con grande amarezza, come il calcio non abbia tratto insegnamento da questa immane tragedia. Non quello italiano, dove ancora oggi vengono segnalati e puniti cori e striscioni di varia natura, ma non quelli che calpestano la memoria delle vittime dell'Heysel.
Non quello belga, che ha ribattezzato lo stadio "Re Baldovino", in un goffo e maldestro tentativo di cancellare la memoria di quella serata. E nemmeno quello inglese, dove per riformare stadi e leggi dovettero morire altre 96 persone, nella strage di Sheffield del 1989.
I fatti
È mercoledì 29 maggio 1985: allo stadio Heysel di Bruxelles è in programma la finale di Coppa dei Campioni tra i detentori del Liverpool e la Juventus. I bianconeri cercavano l'unico trofeo che ancora mancava al loro palmares, con oltre 30.000 tifosi al seguito. Giunti allo stadio, iniziarono ad affiorare le gravissime pecche dell'organizzazione e delle autorità belghe. Nella tribuna "Z", con le gradinate in condizioni fatiscenti, furono fatti entrare tifosi di entrambe le squadre, separati soltanto da una bassa rete metallica.
Circa un'ora prima dell'inizio della partita, gli "hooligans" inglesi iniziarono a muoversi a ondate verso i sostenitori avversari, sfondando la rete e costringendoli ad arretrare e ad ammassarsi contro il muretto di recinzione. Il muro ad un certo punto crollò e molte persone rimasero schiacciate e calpestate dalla folla alla disperata ricerca di una via d'uscita.
39 morti ed oltre 600 feriti. Un bollettino di guerra. Al pari di Enrico Ameri alla radio, un attonito Bruno Pizzul ebbe l'ingrato compito di raccontare agli italiani ciò che stava avvenendo, nonchè di commentare, con la morte nel cuore, la partita. Sì, perchè Juventus-Liverpool si giocò. Pizzul promise agli italiani un commento "il più asettico ed impersonale possibile".
The show must go on
La Juve vince 1-0 ed è Campione d'Europa per la prima volta. A qualcuno importa? Evidentemente sì. Le esultanze ed i festeggiamenti del dopo gara restano una delle tante ferite aperte. Molti dei protagonisti dichiararono in seguito di essere stati a conoscenza solo parzialmente dei fatti. L'unico a scusarsi pubblicamente fu Marco Tardelli nel 2005, rivedendo le immagini ospite di Giovanni Minoli a "La storia siamo noi". Giampiero Boniperti affermò che davanti a tale tragedia non era il caso di festeggiare, ma fu lui stesso a difendere e cullare la coppa come fosse un figlio, ed a farla alzare ad un imbarazzatissimo Scirea all'arrivo in aeroporto.
Grazie, Otello
Tutto ciò che i caduti di Bruxelles e le loro famiglie sono riusciti ad ottenere in questi 30 anni in termini di verità, rispetto e giustizia, lo si deve all'Associazione fra i familiari delle vittime dell'Heysel.
Otello Lorentini, che all'Heysel perse il figlio Roberto, medico di 31 anni, ne è stato il fondatore e Presidente fino alla sua scomparsa, avvenuta un anno fa. Nel 1990 si presentò da solo a Bruxelles al processo contro l'Uefa, inchiodando la federazione europea alle proprie responsabilità ed ottenendone la condanna, con una sentenza che fece giurisprudenza. Ma nel silenzio assordante dei media. Ora la sua opera sarà portata avanti dal nipote Andrea.
Riposate in pace, angeli dell'Heysel.