Erano 1000 i giovani che si sono dati appuntamento martedì 28 luglio alla Fortezza Da Basso, a Firenze, per manifestare solidarietà alla vittima dello stupro avvenuto nel 2007 in quei viali. Lo hanno fatto con le torce accese, per far luce sulla violenza, per ribellarsi contro la sentenza della Corte d'Appello che ha assolto i 6 accusati, basando la sentenza su un'ipotetica 'condotta non lineare' della presunta vittima.

#nessunascusa

In migliaia in questi giorni, tra social e Internet, hanno manifestato aperta solidarietà alla ragazza, denunciando un evidente giudizio morale nella decisione del Corte.

'Posso vestirmi come mi pare, andare a letto con chi mi pare, ma questo non può essere una scusa alla violenza'. Declinato nei modi più disparati, questo è il concetto che uomini e donne hanno voluto esprimere, prima in Rete e poi con una manifestazione nel luogo in cui si è consumato lo stupro di gruppo. A promuovere l'iniziativa l'associazione Uniti in rete rappresentata da Lea Fiorentini che ha dichiarato: 'Siamo nel luogo dello stupro per protestare contro le motivazioni della sentenza della corte d'appello in cui si sono voluti approfondire, in modo inappropriato, vita e abitudini della vittima, quasi processandola al posto dei suoi aggressori. Ma la legge dovrebbe tutelare le vittime, non processarle'.

La storia

Lei aveva 22 anni ed era amica di uno del gruppo, costituito da sei ragazzi tra i 20 e i 25 anni. Dopo una serata insieme lo stupro, o il presunto tale, secondo la sentenza (ormai definitiva perché la procura generale ha scelto di non presentare ricorso in Cassazione). Un evento che i giudici hanno definito increscioso ma non penalmente censurabile.

Il motivo di tale sentenza? Sempre secondo i giudici, come si può leggere dalle carte processuali, la ragazza avrebbe deciso di denunciare l'episodio per ‘rimuovere un suo discutibile momento di debolezza e fragilità’. Insomma, un rimorso di coscienza morale. Un caso di slutshaming, ovvero il tentativo di far sentire colpevole una donna per la sua vita sessuale.

Lo sfogo della ragazza su un blog

Non appena appresa dai media la sentenza della Corte d'Appello, la vittima ha scritto su un blog un accorato resoconto. Si chiede: 'Per essere creduta e credibile come vittima di uno stupro non bastano referti medici, psichiatrici, le prove del dna, ma conta solo il numero di persone con cui sei andata a letto prima che succedesse, che tipo di biancheria porti, se usi i tacchi, se hai mai baciato una ragazza, se giri film o fai teatro, se hai fatto della body art. Sono stata offesa non solo come donna, ma come amica. Sono stata offesa come femminista e attivista lgbt. Hanno offeso la mia condizione economica, di gran lunga peggiore della loro che, se hanno vinto la causa possono dir grazie ai tanti avvocati che hanno cambiato senza badare a spese’.