Almeno 102 persone sono state giustiziate in Arabia Saudita durante i primi sei mesi di quest'anno secondo Amnesty International. Tale cifra supera di gran lunga le 90 esecuzioni che hanno avuto luogo nel corso dell'anno passato nel Paese. Da agosto 2014 a giugno 2015 sono state eseguite 175 condanne a morte, equivalente a una ogni due giorni, la maggior parte per decapitazione. In un rapporto pubblicato, l'organizzazione denuncia anche i processi iniqui che portano a imporre tali sentenze per mancanza di un giusto processo.

“Il sistema di giustizia difettoso in Arabia Saudita facilita grandi esecuzioni extragiudiziali.

In molti casi, agli imputati viene negato l'accesso agli avvocati e alcuni sono condannati basandosi su confessioni ottenute con la tortura o con altri maltrattamenti in una totale palese ingiustizia", ha detto Boumedouha, direttore del programma regionale Medio Oriente e Nord Africa per Amnesty International.

Amnesty rivela che, il più grande esportatore di petrolio al mondo ha giustiziato almeno 2.208 persone negli ultimi tre decenni. Quasi la metà (48,5%) erano cittadini stranieri, per lo più lavoratori migranti provenienti da paesi asiatici, che costituiscono un terzo della popolazione. "A molti è stata negata adeguata assistenza nella traduzione durante il processo e sono stati costretti a firmare delle confessioni in documenti che non capivano", dice il rapporto.

Alcuni esperti dicono che il numero dei giustiziati è salito drammaticamente dopo l'arrivo al trono di Re Salman nel mese di gennaio.

Il regno del deserto è uno dei tre paesi che ricorrono di più alla pena di morte, dopo la Cina e l'Iran, ma in forma particolarmente crudele: il più delle volte la decapitazione avviene con la spada nelle piazze.

Amnesty, che si batte per l'abolizione della pena di morte, rivela che un terzo di tutte le esecuzioni dal 1985 sono state imposte per reati che non possono essere considerati tra i "crimini più gravi secondo il diritto internazionale”. Quasi la metà dei casi per crimini che non hanno causato morti.

Spesso le famiglie dei condannati a morte scoprono la sorte dei loro cari solo dopo che sono stati “eseguiti”, a volte per le informazioni diffuse attraverso i media.

Tra i minori uccisi ci sono anche le persone con disabilità mentali, per i quali il diritto internazionale, di cui l'Arabia Saudita è firmataria, vieta tale punizione.

I funzionari sauditi respingono le critiche sull’uso della pena di morte sulla base del fatto che le sentenze sono eseguite in conformità della sharia (legge islamica) e nel rispetto dei più elevati standard, con la garanzia di un processo equo. Ma la realtà è che il paese non ha un codice penale e lascia la definizione dei reati e delle pene all'interpretazione dei giudici, condannando spesso unicamente sulla base di sospetti e confessioni. Il sistema non garantisce il consulente legale al detenuto.

"Dire che la pena di morte in Arabia Saudita si svolge in nome della giustizia e in conformità del diritto internazionale non può essere più lontano dalla verità.

Invece di difendere la storia atroce del paese, le autorità saudite dovrebbero urgentemente stabilire una moratoria ufficiale sulle esecuzioni e migliorare gli standard internazionali per un processo equo in tutti le cause criminali" suggerisce Boumedouha.