Il pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio ha sempre un dovere di segretezza su informazioni o fatti inerenti all'attività lavorativa che sono sottratti all’accesso da parte di terzi. La legge penale infatti punisce non solo la rilevazione ma anche l’utilizzazione di tali notizie che potrebbero non comportare la violazione del dovere di segretezza. Il pubblico ufficiale che rileva ‘notizie d'ufficio’ apprese in ragione delle funzioni svolte è quindi perseguibile penalmente qualora tali notizie segrete vengono poi utilizzate per fini che non hanno nulla a che vedere con l’attività lavorativa.
A dirlo è la Corte di Cassazione con la recente sentenza numero 50438 del 23 dicembre 2015.
Conseguenze penali sulla divulgazione di notizie riservate
Protagonista del caso sottoposto all'attenzione della Corte di Cassazione è stato un agente di polizia che aveva svelato al cognato che lavorava in una società alcune informazioni su un dipendente che il cognato stava per assumere. Informazioni che nello specifico riguardavano una condanna penale che pendeva nei confronti del dipendente. L’agente di polizia viene quindi indagato per il reato di cui all’articolo 326 codice penale che disciplina appunto la rilevazione di segreti d’ufficio perché aveva effettuato un accesso al sistema informativo interforze esclusivamente per divulgare al cognato delle notizie coperte appunto da segreto d’ufficio.
L’agente di polizia, in tutti i gradi di giudizio si è difeso dicendo che l’accesso al sistema informativo era stato fatto per finalità private, le quali dovevano ritenersi giustificate per via del comportamento poco trasparente del dipendente che non aveva fornito il certificato del casellario giudiziale. La Corte di Cassazione però, confermando le sentenza dei colleghi di merito ha rigettato il suo ricorso, non ritenendo abbastanza convincente la sua tesi difensiva.
Presupposti per il reato di rivelazione di segreti d'ufficio
La Corte di cassazione, in breve, nell’esaminare il comportamento dell’agente di polizia ha ritenuto che egli aveva consultato il sistema informativo al di fuori delle finalità istituzionali. La sua condotta quindi rientra appieno nella fattispecie penale dell’articolo 326 c.p.
proprio perché egli nella sua qualità di pubblico ufficiale ha divulgato notizie sulle quali doveva serbare il segreto in quanto solo in questo modo si può garantire l’efficacia dell’azione amministrativa. Gli ermellini hanno sottolineato inoltre che proprio a causa della divulgazione di tali notizie riservate e conosciute per via di canali privilegiati, il cognato dell’agente di polizia, occupandosi del procedimento di assunzione del dipendente aveva preso l’irreversibile decisione di non volerlo più assumere all’interno della società. Da qui la decisone della Suprema Corte di condannare sia l’agente di polizia sia suo cognato al risarcimento dei danni perché il dipendente nella speranza di essere assunto proprio da quella società aveva interrotto il rapporto lavorativo esistente con un’altra società, rimanendo poi inoccupato per diversi mesi. Per info di diritto premi il tasto segui accanto al mio nome.