I raid statunitensi a Sabrata, nel corso dei quali è stato bombardato un campo di addestramento dell’Isis, potrebbero aver aperto ufficialmente una nuova operazione militare in Libia. Obiettivo è quello opporsi all’espansione dello Stato Islamico nel Paese nordafricano dove attualmente sono in carica due governi: quello di Tobruk, riconosciuto dalle Nazioni Unite, praticamente in esilio in Cirenaica mentre a Tripoli è al potere una coalizione che gode dell’appoggio dei Fratelli Musulmani. Se una coalizione internazionale anti-Isis dovrà intervenire in Libia, è chiaro che l'Italia non può stare in disparteconsiderata la vicinanza geografica e gli interessi economici (non si possonocerto lasciare allo sbando i giacimenti petroliferi gestiti dall’Eni).

Il ruolo delle nostre truppe sarebbe, come di consueto, quello di collaborare nel ristabilire pace ed ordine ma eventuali raid aerei contro le postazioni dell’Isis potrebbero richiedere il supporto logistico delle basi militari in Sicilia, come nel 2011 quando teatro delle operazioni militari fu Birgi, in provincia di Trapani.

Possibili ritorsioni jihadiste

In Libia in realtà potrebbero convergere interessi differenti da parte di tutti gli attori sulla scena, a partire dalla Francia il cui governo volle a tutti i costi la guerra del 2011 che portò al crollo del regime di Gheddafi. Il rischio di un’Italia che, impegnata in prima linea nelle operazioni in Libia, diventi obiettivo sensibile di attentati terroristici è molto forte.

La Sicilia è ad un tiro di schioppo dalla Libia e per un’isola a vocazione turistica lo svolgimento di operazioni militari così vicine sarebbe altamente dannoso, come già accaduto nel 2011: a Trapani, in particolare, venne chiuso al traffico l’aeroporto civile con conseguenze pesantissime per gli operatori turistici della zona.

Senza contare che una guerra contro le forze jihadiste causerebbe inevitabilmente un nuovo esodo di rifugiati il cui primo approdo sarebbe ovviamente il territorio italiano. E poi, parliamoci chiaro, anche in una Libia senza Isis ci sarebbe da risolvere la diatriba tra i due governi attualmente in carica, tutt’altro che propensi a tendere le rispettive mani.