Per il momento il rais sta vincendo su tutta la linea. Le truppe regolari siriane hanno strappato Palmira all'Isis ed ora puntano con decisione su Raqqa, la capitale dello Stato Islamico nei territori occupati in Siria, e su Deir Ezzor. Con l'appoggio dell'aviazione russa i cui bombardamenti aprono la strada all'esercito di Damasco, è solo questione di tempo. I miliziani dell'Isis non hanno la struttura militare necesssaria per reggere il confronto in campo aperto. Gli attentati in Europa,quelli messi a segno e quelli minacciati, sono in realtà la risposta di un sedicente Califfato che va verso il tracollo.

Bashar al-Assad iscriverà il suo nome tra coloro che, concretamente, hanno dato un contributo alla sconfitta dello Stato Islamico.

La riconquista di Palmira: i meriti di Assad e Putin

Nel commentare il successo militare del suo esercito, Assad non ha mancato di lanciare frecciate nei confronti degli Stati Uniti. Ha intanto sottolineato come "la rinconquista di Palmira sia la dimostrazione della strategia vincente perseguita dal governo e dai nostri alleati contro il terrorismo". Potrebbe sembrare un facile proclama da regime ma c'è del vero, perchè dal punto di vista militare è sicuramenteil più grande successo conseguito contro lo Stato Islamico al confronto "dei piccoli risultati - sempre parole di Assad - ottenuti dalla coalizione guidata dagli Stati Uniti sin dal quando è stata formata un anno e mezzo fa".

Risultati che non sono arrivati, è il parere del leader di Damasco, per "mancanza di serietà". Nel contempo, canta vittoria anche Mosca. "Tali successi - ha detto Dmitry Peskov, portavoce del governo di Putin - sarebbero stati impossibili senza il nostro sostegno". C'è del vero anche in questo, lo ha sottolineato Frank Walter Steinmer, ministro degli Esteri tedesco, secondo il quale "la tregua, l'arrivo dei convogli umanitari ed i colloqui di pace di Ginevra non sarebbero stati messi in atto senza il costruttivo impegno russo".

I colloqui di pace non chiariscono il futuro del presidente

L'impressione è che la campagna anti-Isis non sarà certamente l'ultima "impresa" del leader siriano, anche perché i colloqui di pace che si sono conclusi lo scorso 24 marzo a Ginevra ma che riprenderanno comunque il prossimo mese di aprile, non lasciano intendere ad una sua uscita dalla scena politica.

Tra i punti della bozza di un accordo, che ha avuto il nulla osta dal governo siriano, dalle forze di opposizione, dalla Russia e dagli Stati Uniti, il tutto sotto la regia delle Nazioni Unite, c'è la stesura di una nuova costitutizione e di elezioni libere da tenersi entro diciotto mesi dopo la formazione di un governo di transizione. Non è chiaro se Assad prenderà parte alla consultazione elettorale. Intanto il rais ha anticipato tutti, preannunciando nuove elezioni per il 14 aprile ma di fatto le Nazioni Unite non le riconosceranno come valide.

Esiste una terza via?

I negoziati ufficiali tra il governo siriano e l'opposizione, per porre fine a cinque sanguinosi anni di guerra civile, riprenderanno il 9 aprile.

Quelli tra Washigton e Mosca non si sono mai fermati e si discute unicamente su un punto: il futuro di Bashar al-Assad. In realtà anche Vladimir Putin è consapevole che la fuoriuscita di Assad dalla scena politica siriana ammorbiderebbe la posizione dei gruppi ribelli, ma signficherebbe rinunciare ad un prezioso alleato. Secondo il governo russo, lasciare il futuro del rais nelle mani del suo popolo e, dunque, al responso delle urne elettorali, è la strada più democratica da seguire. Se però si arrivasse ad una terza via, quella di una "abdicazione" volontaria di Assad che lascerebbe da "eroe nella guerra contro il terrorismo" con la presenza di parte dei suoi più fidati collaboratori in un eventuale nuovo governo scelto democraticamente dal popolo siriano? Di fatto Mosca avrebbe sempre un governo "amico" che ne tutelerebbe gli interessi nell'area strategica del Medio Oriente. La vecchia arte di salvare capra e cavoli.