L'obbligazione dell'avvocato è di mezzi e non di risultato. Questa affermazione, negli ultimi tempi, ha subìto qualche oscillazione interpretativa. Affinché un avvocatopossa considerarsi responsabile, è necessario che abbia posto in essere un comportamento violativo della diligenza professionale media di cui al secondo comma dell'articolo 1176 del codice civile. L'assunto è stato affermato dalla Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 11906 depositata il giorno 10 giugno. La parte che decide di iniziare una causa dinanzi all'autorità giudiziaria competente, deve essere consapevole che dalla medesima può derivare un esito positivo nella stessa misura in cui può verificarsi un esito negativo.

C'è chi vince e c'è chi perde; è il logico corollario del gioco dialettico dell'arringa. Da qui, discende l'esclusione della responsabilità del difensore.

La Cassazione chiarisce quando l'avvocato è responsabile dell'esito sfavorevole della causa

Per i giudici di legittimità, il difensore risponde nei confronti del proprio cliente qualora il suo comportamento risulti caratterizzato da incuranza, ossia da indifferenza, o sia stato posto in essere con ignoranza delle norme. L'imperizia, però, deve considerarsi assente se si riscontrano possibili divergenti opinioni in ordine alle scelte strategiche e difensive adottate. Per tale motivo, non è possibile agire a titolo di risarcimento danni nei confronti del professionista, quando l'esito negativo della causa sia dipeso da circostanze interpretative aventi ad oggetto leggi o questioni con più soluzioni prospettabili e accolte.

Risulta salva la facoltà di dare prova del comportamento doloso o colposo dell'avvocato. In definitiva, di fronte ai vari orientamenti giurisprudenziali in tema di responsabilità professionale concernente la mera circostanza dirisultare soccombenti, il contenuto della presente decisione della Cassazione, sembra essere l'unica soluzione perseguibile nei meandri della fragilità di un sistema ormai difficile da recuperare, se non rifatto ex novo.