Aleppo, la città più popolosa della Siria, è patrimonio dell’Unesco dal 1986. Occupa una posizione strategica, a metà strada tra il mare e l'Eufrate, ed è crocevia di numerose rotte commerciali sin dal secondo millennio a.C.. Oggi, però, è una città semidistrutta, messa in ginocchio dagli effetti della guerra civile iniziata in Siria dal 2011 e capace finora di causare almeno 290mila vittime in tutto lo stato, secondo i dati dell’Osservatorio siriano per i diritti umani. Stando a una stima del capo mediatore delle Nazioni Unite, invece, i morti arriverebbero quasi a 400mila.

Luce, acqua, cibo: ad Aleppo è tutta un’emergenza

Compresa la provincia, Aleppo tocca quasi 4milioni di abitanti, oltre la metà dei quali si trovano adesso in stato di assedio per colpa dei bombardamenti. Per questo motivo l’Onu parla di “incombente catastrofe”; Medici Senza Frontiere, invece, parla di “situazione umanitaria disastrosa”. Dal 2012 Aleppo, la capitale del nord della Siria, è spaccata in due: da una parte, quella occidentale, vige il controllo del governo di Assad; dall’altra, quella orientale, prevalgono i ribelli. La colazione jihadista Jaish al Fatah, invece, ha annunciato l’inizio di una nuova fase diretta alla liberazione di tutta la città, secondo centro più importante del paese dopo la capitale Damasco.

L’estate è rovente nel paese mediorientale e dopo gli ultimi attacchi, Aleppo conta due milioni di persone costrette nella paura di rimanere in stato di assedio: in particolare, nella parte est della città, oscilla tra 250mila e 275mila il numero di persone letteralmente in trappola. Tra gli ultimi giorni di luglio e i primi di agosto, le rappresaglie sulla città hanno provocato il decesso di circa 130 civili e provocato ingenti danneggiamenti ai presidi medici, come al sistema idrico e agli impianti elettrici.

A fine luglio, gli ospedali Al-Daqaq e Al-Bayan sono stati pesantemente danneggiati e adesso sono in parte fuori uso o sprovvisti di attrezzature importanti per le cure e gli interventi. È stata anche sospesa la strada usata dalle Nazioni Unite per portare aiuti umanitari: ecco che la stessa Onu ha espressamente richiesto il cessate il fuoco o una “pausa umanitaria” di 48 ore per distribuire aiuti agli abitanti generi alimentari, elettricità, acqua corrente e medicinali.

Le strategie degli altri: il filo sottile tra Russia e Turchia

Mentre la comunità internazionale si mobilità per coordinare gli aiuti verso la Siria e discutere di una lotta congiunta al terrorismo, tiene banco l’esito del summit tra il presidente russo Vladimir Putin e quello turco Recep TayyipErdoğan. C’è chi parla di pace fatta, chi di distensione tattica, chi invece esclude un’intesa strategia tra i due paesi. Ma sulla Siria ci sono passi avanti? I negoziati di pace sono un acceso tema di confronto tra i due capi di stato, divisi tra la spinta di Erdogan affinché il presidente siriano Bashar al Assad lasci la guida del governo per favorire una via d’uscita al conflitto, e l’opposizione a questa opzione da parte di Putin, alleato di Assad, ma comunque disposto a proseguire il confronto per parlare del cambiamento democratico in Siria e cercare – ha detto lo stesso Putin - “una soluzione che va bene ad entrambi”.