Il punto critico è stato già raggiunto. C'è chi ha paragonato l'attuale tensione tra gli Stati Uniti e la Russia a quella che si tagliava con il coltello, 54 anni fa di questi tempi, in occasione della Crisi di Cuba. Oltre mezzo secolo dopo, l'erede della vecchia URSS si ritrova contrapposta a Washington e le dichiarazioni trasmesse oggi dal Cremlino, tramite il portavoce del presidente Vladimir Putin, Dmitri Peskov, sono di una gravità estrema. Fanno il palo con quanto detto ieri da Maria Zakharova, portavoce del ministero degli esteri di Mosca, in merito al futuro rafforzamento delle forze NATO al confine tra Lettonia e Russia.

Un'operazione, quest'ultima, che vede in prima fila il governo italiano.

Il contrattacco di Mosca

Secondo Vladimir Putin, "l'aggressività degli Stati Uniti sta crescendo e le minacce contro Mosca e contro la leadership del nostro Paese sono senza precedenti". Il riferimento è a quanto dichiarato da Joe Biden, vice presidente degli Stati Uniti, che in un'intervista ha detto a chiare lettere "siamo pronti a rispondere alle interferenze degli hacker russi sulle elezioni presidenziali".

Quel vaso traboccato in Siria

Come si è arrivati a questo? In verità da un paio d'anni a questa parte i rapporti tra le due superpotenze sono tutt'altro che idilliaci. La crisi ucraina, con la conseguente annessione della Crimea alla Russia con tanto di referendum popolare, è stata mal digerita da Washington e dalle Nazioni Unite.

La questione siriana, che vede la Russia direttamente coinvolta al fianco del presidente Bashar al-Assad e molto vicina a spezzare la ribellione che insanguina il Paese dal 2011, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Washington è impotente, non può impedire la vittoria militare di Assad e Putin e potrebbe essere costretta ad ingoiare un rospo pesantissimo: quello di vedere l'attuale leader siriano prendere parte ad una regolare elezione, quando e se la guerra si concluderà, ed ottenere un plebiscito dai propri concittadini.

Le urne potrebbero dimostrare il favore dei siriani nei confronti dell'attuale governo, sbugiardando chi ha sempre sostenuto chela presunta rivoluzioneera nata dalla spinta popolare, rafforzando notevolmente l'egemonia russa in Medio Oriente. Assad gode inoltre dell'appoggio della Cina, quest'ultima vicina più che mai a Mosca.

Uno scenario che, per la prima volta dopo tanti anni, pone gli Stati Uniti in estrema difficoltà su una questione internazionale nella regione che più di ogni altra, vedi Afghanistan ed Iraq, è stata caratterizzata dall'interventismo sconsiderato e pretestuoso della Casa Bianca.

Le presunte interferenze sulle presidenziali

Non potendo premere più di tanto sulla Siria, l'amministrazione Obama fa leva sulla questione "casalinga". Le accuse nei confronti di Mosca di presunte interferenze sulle elezioni presidenziali sono ben note. Migliaia di e-mail sono state trafugate dall'archivio del Partito Democratico e pubblicate da Wikileaks. Hillary Clinton, parte lesa dello scandalo "emailgate", ha puntato il dito contro Donald Trump e Julian Assange definendo tanto il candidato repubblicano quanto il responsabile di Wikileaks soltanto delle "pedine in mano a Vladimir Putin".

Mosca si è sempre difesa, smentendo qualunque presunto coinvolgimento delle proprie intelligence sul furto informatico. Tra meno di un mese sarà scelto il successore di Obama, inutile dire che il successo della Clinton non contribuirebbe a migliorare il clima, fermo restando che la vittoria di Trump darebbe luogo, al contrario, ad una serie di incognite che, oggi, sono di difficile soluzione. Secondo il parere di Mikhail Gorbaciov, ultimo segretario dell'URSS, il pericolo che Washington e Mosca arrivino allo scontro militare è tutt'altro che improbabile. Ad ogni modo una nuova guerra fredda nel XXI secolo è l'ultima cosa che il mondo si aspettava.