Svolta nelle indagini relative al delitto di Garlasco. Da una perizia è emerso che le tracce di dna sotto le unghie di Chiara Poggi non sarebbero di Alberto Stasi. Questo, dunque, non potrebbe essere l'omicida della Poggi. Sembra che le tracce di dna appartengano a un soggetto che conosceva la ragazza uccisa barbaramente a Garlasco. La madre di Alberto, Elisabetta Ligabò, ha reso noto che presenterà presto un'istanza di revisione del processo.
La madre di Alberto Stasi vuole la revisione del processo
Alberto Stasi, commercialista condannato in via definitiva a 16 anni di reclusione per l'omicidio di Chiara Poggi, potrebbe non essere il colpevole.
La madre del ragazzo adesso vuole fare chiarezza e, presto, chiederà la revisione del processo. A scoprire che le tracce di dna sotto le unghie di Chiara Poggi non sono del bocconiano è stato un genetista incaricato dall'avvocato di Stasi, che si era rivolto a una società di investigazioni milanese. Quelle tracce di dna apparterrebbero a un altro ragazzo. La mamma di Alberto Stasi ha ribadito nelle ultime ore che il figlio è innocente, sottolineando che amava Chiara e mai avrebbe potuto ucciderla. I 2 ragazzi avrebbero avuto molti progetti in comune. La sera prima del delitto, Alberto e Chiara avevano cenato insieme: erano felici e affiatati.
Elisabetta Ligabò è stata sempre consapevole dell'innocenza del figlio.
Oggi, alla luce del risultato della perizia svolta dal genetista incaricato dallo studio legale Giarda, ne è certa. La madre di Stasi ha dichiarato che ora vuole spiegazioni da quel ragazzo, vuole sapere perché il suo dna era presente sotto le unghie di Chiara Poggi: 'Lo deve a me, lo deve ai genitori di Chiara, lo deve a tutti'.
Alberto Stasi condannato al termine di un processo bis
Colpo di scena nel delitto di Garlasco. Tutti, adesso, si domandando se effettivamente l'omicida di Chiara Poggi sia Alberto Stasi, il fidanzato. Questo sta scontando la sua pena in carcere. Proprio un anno fa è stato condannato a 16 anni di reclusione al termine di un processo bis: la Cassazione, infatti, annullò la sentenza di assoluzione il 18 aprile 2013.