Negli ultimi due giorni dalla romania all’Ungheria le strade si sono riempite di manifestanti contro i rispettivi governi. Mentre l’opposizione chiede le dimissioni dell’esecutivo rumeno in seguito al decreto che depenalizza il reato di corruzione, e che continua a scatenare le proteste della gente, a Budapest, i manifestanti a 700 metri dal parlamento magiaro, hanno contestato la visita di Putin, prendendo di mira il primo ministro nazionalista Viktor Orban. Nel frattempo la ripresa del conflitto nell’ucraina orientale tra l’esercito regolare e la milizia autonomista filo-russa, ha spinto il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha chiedere lo stop alle violenze.

Il partito di maggioranza sotto tiro

La maggioranza governativa in Romania a guida socialdemocratica sembra accerchiata da tutte le parti a causa del decreto d’urgenza emesso martedì, sulla modifica dell’articolo del Codice penale, che depenalizza il reato di abuso d’ufficio. Mentre le proteste dei cittadini proseguono, la Corte costituzionale ha fissato la scadenza del 7 febbraio come data entro cui il governo e il parlamento dovranno presentare le motivazioni alla revisione del codice penale. Intanto continuano le defezioni all’interno dello stesso esecutivo, dopo le dimissioni del ministro dello sviluppo economico Florin Jianu, sono arrivate quelle del ministro della giustizia Florin Iordache.

Le accuse rivolte da più parti al governo guidato dal primo ministro Sorin Grindeanu, riguardano il presidente del partito di maggioranza, sotto processo per corruzione, il quale con il decreto emesso verrebbe sollevato dalle accuse.

Una solida partnership

A Budapest è stato accolto dalle contestazioni Vladimir Putin in visita ufficiale per rinsaldare i rapporti commerciali.

Copione che si ripete puntualmente: così fu anche nel 2015. I manifestanti non sono stati fatti avvicinare al parlamento dove si è svolto l’incontro bilaterale, il quarto in quattro anni, con il primo ministro Orban. Il capo del governo magiaro, il primo a issare i muri contro i migranti lungo la rotta balcanica, ha stigmatizzato le sanzioni economiche che l’Unione europea ha posto nei confronti della Russia, spiegando l’importanza della partnership commerciale tra i due paesi, soprattutto in tema di energia.

Orban, in polemica con la UE, ha sottolineato che le problematiche di tipo politico non possono essere affrontate dall’Europa con le leve economiche. Dai microfoni di Euronews, una giovane ucraina, ha accusato Putin di essere il responsabile della guerra civile in Ucraina orientale, che proprio negli ultimi due giorni ha avuto una fase di ripresa.

L’accordo di Minsk come rotta da seguire

Nella regione del Dombass sono tornate a sparare le armi, dopo una tregua più o meno sopita che dura dal 2015 come risultato dell’accordo di Minsk, che vide il governo di Kiev seduto al tavolo delle trattative con le due repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk, autoproclamatesi tali dopo i rispettivi referendum.

A quel tavolo era presente anche la Russia, parte in causa nella guerra dopo aver oltrepassato con il suo esercito i confini, nell'estate dello stesso anno, sulla zona sud-orientale, cosa sempre smentita dalle autorità di Mosca. Con il protocollo di Minsk venne stipulato un accordo di non belligeranza e di garanzia da parte di Kiev nel concedere forme di autonomia ai due territori, promessa fino ad adesso non mantenuta. Una guerra, secondo le stime delle Nazioni Unite, costata quasi 10000 morti e 1.700.000 sfollati.