"Volevo portare via mia figlia con me in Russia, ma poi ho pensato che all'aeroporto avrebbero controllato la valigia e allora l'ho buttata in mare, ma perché io l'abbia fatto non lo so". Affranta, sconvolta, in lacrime, Gulnara Laktionova, 48 anni, rientrata in Italia prima del previsto. D'intesa col suo avvocato, alla polizia e al pubblico ministero, Davide Ercolani, che l'hanno interrogata per ore, non ha saputo dare una spiegazione razionale del perché, dopo aver assistito impotente alla morte per anoressia della figlia Katerina Latkionova, 27 anni, l'abbia chiusa in un trolley e gettata in un canale del porto di Rimini dove è stata ritrovata. "Questa è una vicenda umana di disperazione e dolori enormi", ha detto l'avvocato Mario Scarpa che la difende.
Una storia di solitudine, sofferenza e povertà
Sbarcata all'aeroporto Marconi di Bologna, Gulnara è stata prelevata dalla squadra mobile di Rimini e portata in Procura per essere interrogata. Tra le lacrime e i ripetuti 'non so dire perché l'ho fatto', la donna che fa la badante e ha un regolare permesso di soggiorno, ha raccontato l'ultimo mese di vita della figlia. Una bella ragazza, a Rimini da un anno e mezzo, morta di anoressia, dopo essersi obbligata a una denutrizione volontaria talmente grave che alta 1,74 era arrivata a pesare 35 chili. "L'ho vista morire ogni giorno poco alla volta e senza poter far niente", ha detto la donna al suo avvocato e agli inquirenti. Sua figlia il 22 febbraio scorso era stata in Questura per chiedere il permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Poi le sue uscite si sono diradate fino ad agonizzare in casa, mentre la mamma, disperata e incapace di curarla perché non è compito che può spettare a una madre occuparsi di una malattia così grave, continuava il suo lavoro: accudire persone anziane, ma senza mai far trapelare nulla del suo dramma, probabilmente schiacciata dalla solitudine e dalla vergogna.
"La madre non è riuscita ad aiutarla per la sua determinazione a farsi del male e perché non aveva abbastanza mezzi economici per farla ricoverare in una struttura privata. Questo l’ha fatta disperare e impazzire", ha spiegato l'avvocato Scarpa. Quando il 10 marzo la figlia è morta, Gulnara sconvolta l'ha vegliata una settimana in uno stato di choc, continuando a dormirle accanto, senza riuscire a fare ciò che in stato 'normale' parrebbe ovvio: chiedere soccorso.
Ad aggravare la situazione, si è aggiunta la morte della mamma di Gulnara, un doppio trauma. Dovendo partire per Mosca il 18 marzo, si è posto il problema del cadavere. Alcune telecamere di sorveglianza il giorno che ha buttato in acqua il cadavere della figlia chiuso in un trolley blu, l'hanno ripresa prima andare a buttare l'immondizia, poi uscire con il trolley ritrovato a distanza di una settimana, il 25 marzo, nel canale del porto di Rimini.
Vicenda con punti oscuri ancora da chiarire
Nei confronti di Gulnara non c'è alcuna misura cautelare, anche se è indagata per morte conseguente ai maltrattamenti, dispersione e quantomeno tentata distruzione di cadavere. E' accusata anche per omissione di soccorso per non aver avvertito nessuna struttura sanitaria del fatto che la figlia fosse prima in gravi condizioni, poi deceduta.
La badante resta a disposizione di polizia e magistratura. L'indagine, intende chiarire se ci siano state eventuali altre persone coinvolte, anche se per il momento non sembrerebbe; quindi per ricostruire la storia medica di Katerina e individuare le strutture sanitarie dove la ragazza, sia pure per breve tempo, è stata ricoverata. Il corpo della ragazza, è ora a disposizione dell'ambasciata russa che potrà decidere su un eventuale rimpatrio. Infatti al suo secondo viaggio in Italia nel 2015, voluto dalla mamma che l'aveva spronata a raggiungerla per farla curare, è stata dieci giorni in ospedale. Le era stato consigliato di andare al Simap che si occupa anche malattie di origine psichiatrica, ma non l'ha mai fatto.
Invece sembra si sia rivolta a una struttura privata di Riccione, poi a un medico di base che la polizia sta ancora cercando di rintracciare, e a un altro medico di base che ha però riferito di non saperne nulla. Fino a lasciarsi morire.