Il rischio adesso è altissimo: quello che la guerra civile siriana si trasformi in un escalation militare di livello globale. A rivelare i piani della Casa Bianca è stata la Cnn e la fonte della notizia sarebbe lo stesso Donald Trump. Il presidente ha parlato con alcuni componenti del Congresso e si starebbe consultando con il Pentagono. Il segretario della difesa, James Mattis, avrebbe già elaborato alcune soluzioni per l'intervento militare. Le conseguenze di un'azione diretta di Washington contro il governo di Bashar al-Assad sarebbero gravissime, la Russia è presente in Siria con le proprie forze armate, l'Iran supporta l'esercito di Assad con un battaglione di Pasdaran.

Mosca e Teheran non starebbero a guardare, nel caso in cui l'alleato siriano venga attaccato direttamente dagli Stati Uniti.

Trump: 'Parlerò con Putin'

Donald Trump è convinto senza alcun dubbio che il governo siriano sia responsabile del raid a Khan Sheikhun nel quale sarebbero state utilizzate armi chimiche. Un attacco aereo nella zona c'è sicuramente stato, la provincia di Idlib è sotto il controllo delle milizie jiahadiste che compongono parte dell'opposizione siriana e non sono incluse nella tregua tra le truppe governative ed i ribelli moderati. La Russia, da parte sua, ha esposto l'ipotesi di un raid destinato ad un deposito militare nel quale erano nascoste armi chimiche a diposizione delle milizie di Fatah al-Sham.

Il bombardamento avrebbe causato il disastro, facendo fuoriuscire i gas tossici che hanno ucciso quasi un centinaio di persone tra cui una trentina di bambini. La Casa Bianca non crede a questa versione ed insieme a Francia e Regno Unito ha proposto al Consiglio di sicurezza dell'ONU una risoluzione di condanna, bloccata al momento dal 'niet' del Cremlino.

"Qualcosa bisogna pur fare", ha detto il presidente degli Stati Uniti, ma non ha specificato se per 'qualcosa' intenda un raid punitivo su Damasco o, addirittura, un intervento militare per deporre Assad. Nessuna delle due soluzioni è praticabile a cuor leggero, se l'esercito e l'aviazione russa sono sul posto. Ad onor del vero, il portavoce di Putin ha sottolineato che "il nostro sostegno al governo siriano non è incondizionato.

Faremo ulteriori indagini su quanto accaduto nella provincia di Idlib", ha aggiunto Dmtri Peskov. Letto tra le righe, è un tentativo di prendere tempo dinanzi ad una situazione che sta rapidamente precipitando. Lo stesso Trump è consapevole del rischio di uno scontro con la Russia (e con l'Iran) e, per tutta risposta, prende tempo allo stesso modo. "Ne parlerò direttamente con Putin", ha annunciato l'inquilino principale della Casa Bianca.

Putin: 'Accuse inammissibili'

Il puzzle costruito in questi mesi da Vladimir Putin sta andando in pezzi. Il presidente russo resta comunque dell'idea che le accuse lanciate nei confronti di Bashar al-Assad siano "innammisibili" e di questo ha discusso al telefono con il premier israeliano Benjamin Netanyahu.

In un momento di estrema difficoltà, Putin sfodera tutto il suo talento diplomatico, contattando il leader di un governo che ha direttamente accusato Assad della strage. "Non si possono muovere accuse senza prima aver svolto un'indagine imparziale", ha detto il numero uno del governo di Mosca. Chiaro l'intento di tener calmi i bollenti spiriti di Tel Aviv, mentre qualcuno altro che immediatamente dopo i fatti di Khan Sheikhun si era mantenuto cauto, ha sfoderato tutti i suoi proclami da esperto arringatore di folle. Recep Erdogan vede nuovamente all'orizzonte la possibilità di farla finita con l'odiato governo di Damasco. "Allah vendicherà le vittime di quell'assasino di Assad. La Turchia è pronta a fare la sua parte", ha detto, confermando dunque la sua intenzione di scendere in guerra al fianco di chiunque decida di attaccare la Siria.

Il rimpiattino del presidente turco tra Washington e Mosca sarebbe degno del miglior Stalin, quelo sballottato tra lo scellerato patto Molotov-Ribbentrop e l'operazione Barbarossa nei primi anni '40.

Assad: 'Se perdiamo la guerra, la Siria è destinata a sparire'

Non vorremo trovarci, pertanto, nei panni di Bashar al-Assad, passato da baluardo anti-Isis a criminale di guerra nel giro di pochi giorni. Sinceramente siamo sempre propensi a concedergli il beneficio del dubbio, non perché lo abbiamo improvvisamente beatificato, ma a rigor di logica un'azione sconsiderata come quella di cui è accusato non ha alcun senso. Assad era molto vicino a vincere la sua guerra, lanciare un attacco chimico equivale ad un sucidio politico.

Lui stesso è consapevole che la sua campagna militare ora è a rischio. "Con il sostegno del popolo siriano e della Russia abbiamo ottenuto grandi successi - ha dichiarato - ma se dovessimo perdere questa guerra, la Siria è destinata a sparire dalle carte geografiche". In tutto questo caos, in mezzo a venti di guerra di proporzione mondiale che potrebbero soffiare in Medio Oriente, il 'problema Isis' è diventato di secondaria importanza. In realtà lo Stato Islamico sarebbe tra i primi beneficiari di uno scontro aperto tra Stati Uniti e Russia che coinvolgerebbe anche i rispettivi alleati. Ma se ci voltiamo indietro a guardare quanto accaduto in Siria negli ultimi sei anni, la guerra al Califfato è sempre stata un imprevisto inconveniente per Washington. L'obiettivo primario era e rimane, a questo punto, quello di sbarazzarsi di Assad.