Finalmente lo spauracchio di molti ex mariti ha finito di mietere vittime: un verdetto della Cassazione ha cancellato il parametro "tenore di vita" nel conteggio della somma che l'ex marito deve versare mensilmente all'ex consorte. La somma fino ad oggi serviva a garantire lo stesso tenore goduto durante il matrimonio alla moglie divorziata ed era in vigore da 30 anni. Al suo posto è stato inaugurato un nuovo parametro, detto "di spettanza", che si basa sulle reali condizioni dell'ex partner che chiede un aiuto economico, volto al assicurarne la sua indipendenza o autosufficienza economica.
Del resto in Europa succede già da tempo che ci sia una valutazione differente dall'obsoleto paramentro del tenore di vita. Ottima notizia per gli sfortunati ex mariti che spesso cadevano in disgrazia dopo il divorzio proprio per l'impossibilità di condurre una vita normale con lo stipendio decurtato delle spese di mantenimento. Pessima notizia di chi vedeva il matrimonio come una sistemazione definitiva, soprattutto se si contraeva matrimonio con un coniuge abbiente. La sentenza asserisce che il matrimonio è un atto di libertà e di responsabilità; se finisce male si ritorna ad essere individui singoli senza usufruire di rendite di posizione. La Cassazione ha ritenuto, inoltre, che l'esigere un assegno mensile da una persona uscita da un matrimonio fallito può essere un ostacolo alla costruzione di una nuova famiglia e quindi viola il diritto di ognuno di ricostruirsi una vita.
Diritto riconosciuto e difeso dalla Corte di Strasburgo e dalla Carta su cui è stata fondata l'Unione Europea.
Un caso emblematico
Tra i numerosi casi in Italia, uno ha provocato pesanti accuse alle norme del diritto di famiglia ed è quello del divorzio, avvenuto nel 2013, tra un ex ministro e un'imprenditrice, marito e moglie dal 1993.
L'uomo le versò 2 milioni di euro appena separato per chiudere sul nascere ogni richiesta. Ma l'ex consorte si appellò in Cassazione per ottenere un vitalizio aggiuntivo, dopo che le era stato negato dalla Corte di Appello di Milano. Oggi la decisione dei giudici mostra un cambiamento dei tempi: il matrimonio non è più "la sistemazione definitiva" e chi richiede un assegno sarà adeguatamente controllato, mentre tutte le sua attività saranno passate al vaglio. I beni, un'eventuale casa, la possibilità di lavorare, ovvero la capacità lavorativa potenziale: tutto sarà accertato per decidere se veramente si ha diritto ad un vitalizio.
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