Nessuna pietà per i colpevoli reo-confessi di Nirbhaya, la ragazza indiana stuprata e uccisa sul bus a Delhi nel 2012. Dopo 5 lunghi anni la Corte Suprema ha confermato questa mattina la condanna a morte emessa dall'Alta Corte di Giustizia di Delhi nei confronti dei quattro criminali Mukesh Singh, Pawan Gupta, Vinay Sharma e Akshay Thakur già condannati in primo grado da un Tribunale Speciale il 16 dicembre 2015.
Un delitto che non merita attenuanti
Dopo aver ascoltato le ragioni della difesa dei quattro condannati, la Corte Suprema indiana composta dai giudici Dipak Misra, R.
Banumathi e Ashok Bhushan ha dichiarato che l'efferato omicidio "dimostra altresì la perversione degli accusati" e ha aggiunto che mai come in questo caso la pena capitale risulta pienamente giustificata. Il tribunale ha aggiunto che ad aggravare ulteriormente la posizione dei quattro scellerati, ci sono anche le accuse di cospirazione.
L’anziana madre della vittima aveva già, a suo tempo, auspicato che gli aggressori venissero impiccati e che la Corte Suprema avrebbe sostenuto l'ordine dell'Alta Corte. Parlando all'agenzia di stampa ANI, la donna ha dichiarato: "Abbiamo piena fiducia nel sistema giudiziario e sono sicura che la Corte Suprema concederà il massimo della pena nel suo verdetto finale.
Sono certa che a mia figlia verrà resa giustizia. Sarebbe un grande esempio per l'India e per il mondo intero”.
Il padre della vittima ha aggiunto: “Se anche non fosse la Corte Suprema a condannarli, sarebbe Dio stesso a farlo!".
Sdegno e riprovazione
Sei uomini, inclusi i quattro detenuti, sono stati dichiarati colpevoli di avere brutalmente violentato la fisioterapista di 23 anni all'interno di un autobus il 16 dicembre 2012.
La vittima era deceduta in un ospedale di Singapore dopo una lunga agonia durata ben 13 giorni, dovuta alle lesioni riportate. E il caso suscitò un'ondata di sdegno in tutto il mondo.
Uno dei principali sospettati, Ram Singh, fu trovato impiccato nel marzo 2013 all'interno della sua cella nel carcere di Tihar, mentre un altro sospetto, minorenne all'epoca del delitto, fu internato in un riformatorio.
Per gli altri quattro aguzzini nessuna attenuante.
I detenuti - rappresentati dagli avvocati A P Singh e M L Sharma, avevano presentato ricorso. I due legali avevano sostenuto come motivazioni (a loro favore, ma senza alcun esito) la giovane età e la provenienza degli aggressori da un ambiente socio-familiare degradato. Ma i giudici si sono dimostrati inflessibili.
La sentenza della Corte di Delhi - la cui eco rimbalzerà a lungo da un angolo all'altro del pianeta - arriva in un momento storico determinante sullo sfondo della preoccupante escalation di femminicidi in ogni parte del globo. E su questo sfondo l'Italia rappresenta questa volta, purtroppo, il fanalino di coda.