Colpo di scure da parte della corte d'Appello di Messina che oggi, 13 giugno 2017, ha condannato i magistrati responsabili di aver lasciato agire l'uxoricida Saverio Nolfo. In ottemperanza alla legislatura in materia di responsabilità civile dei magistrati, la Corte d'Appello ha ritenuto si fosse trattato di dolo e colpa grave dei pm, per l'inerzia dimostrata dagli stessi nel caso di Marianna Manduca; questo per le ben 12 denunce che la vittima presentò a carico dell'uomo. La condanna ricade su due magistrati che all'epoca dei fatti, nel 2007, lavoravano presso la Procura di Caltagirone (Catania).
Il processo ha coinvolto anche la Presidenza del Consiglio dei Ministri, condannata appunto al risarcimento delle parti civili in causa.
Cosa accadde nel 2007
Così scriveva Marianna: "Capisco che è difficile, a chi non ha mai vissuto nulla di simile, comprendere tutto ciò, soprattutto comprendere come sia possibile patire tutto e sempre in silenzio, ma avevo molta paura e il clima in cui vivevo era davvero pesante". Marianna Manduca era una geometra di appena 32 anni che viveva a Palagonia, in provincia di Catania. Una donna innamorata del marito con il quale credeva progettare la vita, al punto che accondiscese alla richiesta di lasciare il lavoro per dedicarsi alla famiglia, complice l'arrivo dei tre figli.
Ma la realtà le aveva riservato altro e ben presto le percosse, inflitte addirittura in pubblico, come le angherie subite dal marito presero il posto dei sogni e le illusioni della povera vittima. Marianna infatti segnalò più e più volte le gravi difficoltà in cui versava a causa della crudeltà del marito, spingendosi a ben 12 denunce in Procura, sempre integrate dai referti medici, come quando riportò di essere stata aggredita a colpi di sedia; quest'ultimo episodio la costrinse ad abbandonare la sua abitazione per timore di ritorsioni.
Nessuno però dette la dovuta importanza alla sua richiesta di aiuto.
Nonostante il timore che provava nei confronti del suo aguzzino trovò comunque il coraggio di lasciarlo nel tentativo di ritrovare la sua serenità, ma non aveva fatto i conti con quelle istituzioni che avrebbero dovuta aiutarla, tanto che visse l'incubo peggiore quando venne stabilito che i tre figli piccoli dovessero essere affidati al padre.
La decisione fu presa nonostante la tossicodipendenza, le denunce per violenza domestica e la condizione di nullatenente dell'uomo. A corollario di uno scenario già così infausto, secondo anche la testimonianza del cugino della vittima (oggi tutore dei figli di Marianna), si aggiunse il chiaro intento del padre di provocare un distacco fra i bambini e la madre, istigandoli all'ostilità.
La tragica svolta
Dopo una battaglia legale ingaggiata per riavere i suoi bambini Marianna riuscì ad ottenere un affido temporaneo. Pochi giorni prima della sentenza definitiva che, con ogni probabilità, le avrebbe concesso di rivivere con i suoi piccoli, il 3 ottobre del 2007 Marianna venne uccisa dall'ex marito.
Saverio Nolfo speronò l'auto di Marianna Manduca mandandola fuori strada, aggredendo con un coltello il padre della donna per poi essere libero di accanirsi sul corpo di quella che era la madre dei suoi figli, infliggendole dodici coltellate.
Sono trascorsi dieci anni da quel tragico epilogo; dieci anni senza la mamma per i ragazzi che oggi hanno 13, 15 e 16 anni. Ci sono voluti dieci lunghissimi anni perché a quelle istituzioni create a protezione e tutela della donna venisse ricordato quale sia il loro dovere e il loro fine ultimo. Oggi Saverio Nolfo è in carcere a scontare la pena di 20 anni. Il femminicidio rimane in Italia un'emergenza cui, a quanto pare, alcuni fra quelli che dovrebbero prevenirla e colpirla duramente prestano invece la stessa attenzione di un'infrazione del codice stradale.