Con una lunga lettera, pubblicata dal quotidiano Il Giornale diretto da Alessandro Sallusti, Vittorio sgarbi attacca con parole durissime il procuratore capo di Roma, Giuseppe pignatone. A Sgarbi non è andato giù il fatto che Pignatone si sia permesso di criticare apertamente la sentenza del Tribunale su Mafia Capitale, con una doppia intervista pubblicata da Repubblica e Corriere della Sera in cui conferma l’esistenza della mafia a Roma, nonostante la caduta del castello accusatorio della sua procura proprio sul punto dell’articolo 416bis del Codice Penale (l’associazione mafiosa).
Sgarbi rinfaccia senza peli sulla lingua a Pignatone tutte quelle che secondo lui sono le sue gravi responsabilità nella vicenda e lo esorta a chiarire definitivamente se la mafia a Roma esiste o no.
Pignatone come Berlusconi
Secondo Vittorio Sgarbi, un uomo che ricopre un ruolo come quello di Giuseppe Pignatone non ha la possibilità di “dubitare dell’Ordine giudiziario di cui fa parte”, come invece accaduto a margine della sentenza di primo grado su Mafia Capitale, in cui è caduta l’aggravante mafiosa per gli imputati. Il fatto che un magistrato discuta le sentenza può essere paragonato addirittura ad un “prete che bestemmia”. Sgarbi cita i casi di politici ‘di sinistra’ come Bersani, D’Alema e Renzi che, per differenziarsi dal berlusconismo, hanno invitato a rispettare anche quelle sentenze che sembrano ingiuste.
Ma l’intervista rilasciata da Pignatone ai giornali, in cui conferma che “a Roma la mafia c’è”, a Sgarbi provoca la sensazione di “risentire le parole di Berlusconi attraverso la sua voce”.
Roma come Palermo?
Secondo il noto volto tv, il procuratore di Roma “si sente ferito in prima persona”. Pesante anche il paragone con Fabrizio Cicchitto per la minaccia di non rassegnarsi consegnata alla stampa.
La responsabilità di Pignatone è quella di “avere caricato su Roma un’ipotesi di condizionamento mafioso come una aggravante”, al solo scopo di creare una cassa di risonanza mediatica ad un processo per mafia a cui non sarebbe altrimenti stato dato credito in una città come Roma, considerata diversa rispetto a “vere capitali della criminalità come Palermo e Reggio Calabria”.
Insomma, il tentativo di innalzare la “dignità criminale” della Capitale “non è stato un errore, ma una deliberata trasfigurazione di reato”.
‘Pignatone ha commesso un abuso procedurale’
Sgarbi ci tiene a precisare che non crede, come detto dallo stesso Pignatone, che l’inchiesta Mafia Capitale abbia “cambiato il corso politico degli eventi a Roma”. Insomma, nessun “uso politico della giustizia penale”. Ma si dice altresì convinto che il procuratore capo di Roma abbia commesso un “abuso procedurale, chiamando un reato con un altro nome, con assoluta lucidità e piena consapevolezza”. In pratica, secondo Sgarbi, il magistrato “non può accettare la sconfitta di una vita: finire a Roma per occuparsi di quattro attrezzati rubagalline”.
Ma un uomo dell’esperienza di Pignatone non può non sapere se a Roma esiste la mafia o no. E, inoltre, non può permettersi di “gridare all’errore giudiziario” come un politico qualsiasi. Invece, col suo comportamento, il magistrato ha aperto un “conflitto con la corte giudicante, trasformandosi in avvocato dell’accusa”. E adesso deve una risposta a tutti i romani: Roma è pericolosa come la Palermo di qualche anno fa?