Dopo il “grido di dolore” di qualche settimana fa del premier Gentiloni, il ministro dell’interno minniti era riuscito a strappare tre punti, ai partners europei riuniti a Tallin (Estonia): la proposizione alle ong di un codice di comportamento ineludibile ai fini del prosieguo della loro missione umanitaria a largo delle acque libiche; una maggior presenza e collaborazione dell’agenzia europea Frontex e l’appoggio totale alle iniziative politiche italiane con la Libia in tema migranti.
Coloro che pensavano che fosse praticabile la ridistribuzione (parziale o addirittura totale) dei nostri migranti in Europa, la montagna aveva partorito il classico topolino.
Al contrario, almeno due punti su tre hanno avuto l’effetto della classica pietra rimossa dal formicaio.
L’iniziativa politica con la Libia titolare del seggio ONU – cioè quella di El Sarraj – si è tradotta nel supporto di alcune navi militari italiane alla guardia costiera libica per l’immediata riconduzione a terra dei barconi di migranti già all’interno delle acque territoriali libiche. Le proteste delle organizzazioni umanitarie e del più importante oppositore a El Sarraj – il generale cirenaico Haftar – non hanno avuto alcun eco presso i governi europei, essendosi questi già impegnati con l’Italia a Tallin.
Chi ha firmato e chi no
Ancora più sorprendenti sono state le reazioni delle ong alla sottoscrizione del codice di comportamento Minniti.
Si pensava che, al massimo, talune di esse avrebbero storto il naso ma che poi, obtorto collo, avrebbero comunque firmato senza fiatare, essendo loro interesse proseguire nella collaborazione con l’Italia in base a una sorta di “legittimazione” di fronte all’opinione pubblica.
E invece, delle nove Ong che hanno navi nel Mediterraneo, ben sei non si sono presentate all’incontro con Minniti e solo una delle due più importanti (Save the Children) ha firmato senza discutere.
Tra le assenti, una ha poi firmato, un’altra ha comunicato di essere pronta alla firma e un’altra che avrebbe firmato con nota a margine. Ciò che ha stupito è stato lo sdegnato rifiuto della ong più importante di tutti, e cioè “Medici senza frontiere”.
Non sono stati i punti relativi al divieto di ingresso nelle acque territoriali libiche o quello di disattivare i meccanismi di rilevazione in prossimità delle stesse o quello di non segnalare la propria presenza agli scafisti, a trovare contrario il presidente di MsF.
Ciò che ha fatto principalmente alterare il presidente Loris De Filippi, è stato il punto relativo all’obbligo di far salire a bordo in qualsiasi momento ufficiali di pubblica sicurezza italiani (in servizio e, di conseguenza, con pistola di ordinanza). Le reazioni dell’osservatore comune sono state di stupore: la polizia italiana a bordo, infatti, avrebbe potuto salvaguardare i funzionari MsF da qualsiasi eventuali minacce o in caso di attacco armato. Così come avrebbe potuto “certificare” la reale osservanza dell’ong alle condizioni di cui sopra.
Le dichiarazioni di Loris De Filippi di MsF
De Filippi, invece, ha dichiarato che mai e poi mai avrebbe ceduto su tale punto perché, in ogni parte del mondo, l’assenza di armi nei loro punti di soccorso costituisce la principale garanzia per la loro incolumità e quella dei ricoverati.
Ma ciò accade in zona di guerra, non in alto mare. Tant'è vero che – De Filippi dimentica, o fa finta di dimenticare – la maggioranza dei migranti nel Mediterraneo centrale è stata salvata proprio dalle forze armate italiane (74.000 salvataggi nel 2016, contro i 47.000 di tutte le ong messe insieme), senza che si sia verificato un solo attacco armato.
Il secondo punto su cui MsF ha dichiarato la sua contrarietà è stato il divieto, per l’ong, di trasferire i passeggeri salvati su altre navi, per condurli ai porti di sbarco (circostanza che oggettivamente, lo avrebbe costretto a una riorganizzazione della sua attività). Ma, il trasbordo, le ong usano effettuarlo proprio sulle navi militari italiane (e, in quel caso, il loro armamento non crea alcun problema) che sinora hanno accettato di compiere il tragitto più lungo verso i porti di bandiera.
Non sembra quindi insensata la richiesta del ministro Minniti che, in sostanza, si traduce in: “ognuno faccia la sua parte, ma la faccia dall’inizio alla fine e non a metà”.
Insomma, la reazione sdegnosa di MdF e di altre ong ha avuto come conseguenza quella di aumentare i sospetti di connivenza tra ong e scafisti – ancorché non provati e ancora allo stato di istruttoria – perché, in Italia, come diceva Andreotti: ”A pensar male si fa peccato ma, spesso, ci si azzecca”.