Se Kim Jong-un fosse un rigorista, sarebbe praticamente infallibile. Con due tiri totalmente differenti ha spiazzato l'improvvisato portiere Donald Trump, ma sul fatto che possa vincere questa partita ci sono molti dubbi. Specialmente se contraddice analisti ed esperti che, in queste settimane di crescente tensione, non lo hanno chiamato 'pazzo', ma al contrario lo hanno definito uno spericolato stratega. Questa strategia però è onestamente incomprensibile: in meno di 24 ore si è passati da una sorta di appello alla comunità internazionale, contenuto in una lettera inviata ad una serie non precisata di governi e parlamenti esteri - notizia diffusa dalla KCNA, l'agenzia di stampa del regime - chiamati in causa per fermare Donald Trump "intenzionato a scatenare un olocausto nucleare", alle deliranti dichiarazioni del ministro degli esteri, Ri Yong-ho, secondo le quali gli Stati Uniti avrebbero dichiarato guerra al piccolo Stato comunista.

A rifletterci bene, sono la stessa faccia di una medaglia, quella che vuol trasmettere al mondo l'immagine di un Paese minacciato che sta cercando solo di difendersi. Motivo per cui lo stesso ministro nordocoreano si è appellato al 'principio di autodifesa' riconosciuto dalle Nazioni Unite che consente di agire militarmente a protezione della propria sovranità in caso di un attacco. Nessun attacco è stato ancora lanciato dagli Stati Uniti verso la Corea del Nord, Washington è certamente tentata di mostrare la sua ben nota potenza di fuoco all'insolente dittatore, ma sa benissimo di avere le mani legate per via della posizione poco prevedibile della Cina che ha lasciato intendere di poter intervenire a sua volta, se il vecchio alleato militare fosse aggredito.

In mezzo al caos, è passata quasi inosservata una notizia di grande importanza: Choe Son-hui, direttrice del dipartimento degli affari esteri di Pyongyang, è in visita ufficiale a Mosca dove è previsto un incontro con l'ambasciatore 'plenipotenziario' Oleg Burmistrov. Probabile che il Cremlino, direttamente interessato dalla questione alla luce della vicinanza dei suoi confini orientali con la penisola coreana, possa fare l'ultimo, disperato tentativo di risollevare una situazione che sta visibilmente precipitando.

La presunta dichiarazione di guerra

Gli Stati Uniti non hanno fatto alcuna dichiarazione di guerra, anche perché solitamente è un passaggio ufficiale che viene sancito dal presidente in persona. Sebbene Donald Trump non sia stato esattamente tenero nei confronti dela Corea del Nord (la quale a sua volta non ha risparmiato minacce di ogni sorta), non ha mai dichiarato aperte le operazioni belliche nella penisola coreana.

Le parole incriminate dal regime sarebbeto state pronunciate da Trump dinanzi all'assemblea generale delle Nazioni Unite. "Trump ha detto che la nostra leadership non sarà in giro ancora a lungo, ha dunque dichiarato guerra al nostro Paese" è quanto detto dal ministro Ri Yong-ho ai giornalisti che lo hanno intervistato a New York, fuori dall'hotel dove alloggia per via dell'assemblea ONU. Ad essere del tutto sinceri, Trump ha citato in più di una circostanza la possibilità di un'opzione militare, ma da qui a definirla 'dichiarazione di guerra' c'è una bella differenza. Ad ogni modo, appellandosi al citato principio di autodifesa, Ri ha puntualizzato che la contraerea nordcoreana da adesso in poi abbatterà ogni velivolo statunitense, anche se non attraverserà il confine del suo Paese.

Il riferimento è alla squadriglia di bombardieri che recentemente ha attraversato lo spazio aereo a pochi km dal confine nordcoreano: un chiaro monito verso Pyongyang, ma in fin dei conti c'è un autentico arsenale americano tra la Corea del Sud ed il Mare del Giappone.

Lo stupore di Washington

Stupore e sgomento a Washington: la Storia dimostra come gli Stati Uniti siano sempre stati maestri nel creare i presupposti per gli interventi militari, in taluni casi inesistenti (come le armi di distruzione di massa mai trovate nelle disponibilità del regime di Saddam in Iraq, ndr), ma in questo caso i dirigenti militari del Pentagono e, crediamo, lo stesso Donald Trump, sono saltati via dalle rispettive sedie.

"Tutto questo è assurdo - ha dichiarato Sarah Sanders, portavoce della Casa Bianca - perché noi non abbiamo dichiarato guerra alla Corea del Nord. Stiamo perseguendo l'obiettivo di giungere alla denuclearizzazione della penisola coreana in maniera pacifica, utilizzando forti pressioni economiche ed affidandoci alla diplomazia". Al Pentagono però c'è anche chi si frega le mani. "Abbiamo un arsenale immenso da fornire al presidente Trump per affrontare la questione della Corea del Nord - ha detto il colonnello Robert Manning, portavoce del dipartimento della difesa statunitense - e gli offriremo tutte le alternative militari necessarie, qualora Pyongyang prosegua la strada delle provocazioni".

La missione diplomatica a Mosca

Travolta dagli incessanti venti di guerra, una missione diplomatica può passare in secondo piano, ma quella di Choe Son-hui in Russia può essere di fondamentale importanza. Vladimir Putin in questo momento è uno dei pochi leader mondiali, forse l'unico tra quelli di maggior spessore ed influenza, che non ha chiuso le porte in faccia al regime nordcoreano e, al contrario, ha spesso ribadito che non bisogna isolare ulteriormente il cosiddetto 'Paese eremita'. Pyongyang intrattiene ottime relazioni diplomatiche con il Cremlino, cosa che non avviene con la Cina nonostante Pechino sia l'unico ed eventuale alleato militare a disposizione di Kim Jong-un. Il 'patto d'acciaio' siglato a suo tempo dal futuro presidente eterno della Corea del Nord, Kim Il-sung, con Mao Tse-tung è ancora in piedi, tuttavia il nipote del vecchio leader, Kim Jong-un, non ha alcun rapporto con il leader cinese Xi Jinping e non lo ha mai incontrato personalmente.

La Cina ha inoltre sottoscritto ed attuato le sanzioni decise in sede ONU: chiaro che i rapporti tra i due Paesi sono ai minimi storici, sebbene Kim sia consapevole che il taglio del cordone cinese sarebbe un evento disastroso per la Corea del Nord. In questo momento, la Russia di Putin è probabilmente l'unico partner con cui il giovane leader nordcoreano vuole dialogare e la diplomatica Choe Son-hui è una collaboratrice verso cui il dittatore nutre la massima fiducia. Mosca ha sempre sostenuto la soluzione diplomatica: magari l'intercessione del Cremlino potrebbe portare a risultati sorprendenti. Con la minaccia crescente di una guerra che, per la seconda volta nella Storia, potrebbe essere scandita dall'uso di armi atomiche, ci si aggrappa a qualunque soluzione che possa far vincere la diplomazia, anche a quella del falco Putin nell'inedito ruolo di colomba.