All'epoca dei fatti, aveva sostenuto che la ragazza era stata pienamente consenziente. Proprio come oggi fanno i due carabinieri di Firenze, gravemente indiziati, indagati per lo stupro di due studentesse americane. Massimo Selva è stato definitivamente condannato dalla terza sezione penale Cassazione a 4 anni di reclusione: nel 2013 era ispettore di polizia e, abusando della sua qualifica di pubblico ufficiale, violentò nella sua stanza del commissariato San Basilio di Roma, una 18enne fermata per un controllo antidroga. Il ricorso presentato da Selva dopo la condanna inflittagli dalla Corte d'Appello di Roma nel 2016, è per la Suprema Corte, che ha confermato la condanna, inammissibile.
I fatti
Nel 2013 la vittima di questa storia, figlia di un carabiniere, fu fermata nel corso di un controllo antidroga dall'ispettore di polizia Massimo Selva. Nell'auto con lei c'erano il suo fidanzato e altri tre amici. Furono trovati in possesso di una modica quantità di hashish. La ragazza temeva d'essere denunciata e che venisse scoperta dal padre. Quando il poliziotto la portò con lui nel suo ufficio al commissariato San Basilio di Roma e le calò i pantaloncini che indossava per poi violentarla, la 18enne, intimorita e sconvolta, non oppose resistenza. Troppa fu la paura di compromettere, non solo la sua situazione, ma anche quella del fidanzato e degli altri tre amici. E comunque, atterrita da quell'uomo in divisa e dal contesto, non ebbe la forza di reagire.
Da quel momento, lo stupro subito fu il terribile segreto che cambiò per sempre la sua vita. Solo a distanza di mesi dalla violenza sessuale, la ragazza riuscì a raccontare quel che era accaduto. E per sincerare il suo racconto, svelò un dettaglio che ha inchiodato Selva: lo stupratore in divisa aveva un tatuaggio sull'inguine.
La tesi del 'presunto consenso'
Massimo Selva, coadiuvato dalla sua difesa, in fase processuale ha cercato di discolparsi, tentando di far passare la tesi che la ragazza fosse stata pienamente consenziente e che non avrebbe fatto nulla per fargli credere il contrario. Ma la Corte d'Appello di Roma non ha assolutamente avvalorato questa ricostruzione dei fatti, ritenendola falsa, e nel 2016 l'ha condannato a 4 anni di reclusione.
La condanna ora è stata pienamente confermata dai giudici della Suprema Corte. Per la Cassazione, infatti, nella sentenza appena depositata, la tesi del presunto consenso da parte della ragazza è completamente priva di fondamento. L'imputato approfittò della totale disparità di condizione tra lui e la sua vittima: era un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni, il che costituisce un aggravante. Mentre la ragazza, trattenuta in commissariato nell'ansiosa attesa di conoscere le sorti sue e dei tre ragazzi fermati in flagranza di reato, fu costretta a subire l'atto sessuale in condizioni di timore e soggezione.
Nessuna attenuante
La difesa del poliziotto stupratore ha provato a giocare tutte le carte spendibili.
In subordine alla tesi che la ragazza fosse stata consenziente, ha richiesto di poter ottenere l'attenuante della violenza sessuale di "minore gravità", che può valere nei casi di un rapporto sessuale incompleto. Ma la Corte ha rigettato anche questa richiesta, riagganciandosi alla motivazione della sentenza d'Appello: la gravità dei fatti di cui si è reso responsabile l'imputato è dimostrata sia "dall'incisività dell'atto sessuale, sia dall'abuso di autorità derivante dalla funzione ricoperta dall'imputato, circostanze entrambe volte ad escludere un'attenuata compressione della libertà sessuale della vittima".