Risiedeva in Italia con regolare permesso di soggiorno Fatma Ashraf Shawky Fahmy, la ventiduenne egiziana espulsa dal Ministro dell’interno Marco Minnitti con l’accusa di terrorismo.

La radicalizzazione

La ragazza, che viveva nella periferia milanese, a Gratosoglio, insieme ai genitori e tre fratelli, negli ultimi quattro anni aveva progressivamente subito un processo di radicalizzazione che l’aveva portata a dismettere gli abiti e le abitudini occidentali, che fino al 2013 si integravano completamente nel suo quotidiano.

Una prassi comune ai vari casi di affiliazione all’Isis.

Era giunta ad indossare il niqab, tradizionale indumento islamico che copre in maniera integrale l’intera figura lasciando scoperti solo gli occhi, e ad interrompere qualunque rapporto con il mondo esterno, fatta eccezione per una vicina di casa.

Le indagini

L’analisi del suo cellulare ha rivelato una totale assenza di traffico, precludendosi dunque qualsivoglia canale di comunicazione ad eccezione di internet.

Dalle indagini della Digos di Milano è emerso che Fatma era in contatto con Al Najjar Abdallah Hasanayn, membro dell’Isis, e che il suo principale scopo era quello di riuscire a giungere in Siria passando per la Turchia per poter offrire il suo contributo alla causa dello Stato Islamico, come rivelerebbero le conversazioni via Telegram.

Diverse volte, infatti, la ragazza avrebbe inviato copie della propria carta di identità e foto tessere al fine di ottenere documenti falsi così da poter intraprendere il viaggio che, tuttavia, si presentava di difficile realizzazione.

Di fronte all’impossibilità di raggiungere agevolmente i territori occupati dal Califfato, la decisione di diventare kamikaze e rendersi protagonista di un attentato terroristico in territorio italiano, in merito al quale non avrebbe però mai ricevuto conferme né indicazioni nonostante i ripetuti tentativi di contatto.

La perquisizione

Dopo aver accertato l’identità della donna in rete, conosciuta come Umm-Jlaybib, ed aver accertato i suoi rapporti con i guerrieri della jihad è stata predisposta la perquisizione della sua abitazione e, sebbene abbia confessato l’intento di raggiungere la Siria, si è poi chiusa in un assoluto silenzio ostacolando le indagini.

È stato solo con l’analisi del tablet della giovane egiziana che è emersa la sua volontà di procedere ad un’azione terroristica rimasta, tuttavia, senza autorizzazione.