Marita Comi, consorte di Massimo Bossetti, ritenuto colpevole e condannato al carcere a vita in primo grado ed in appello per l'omicidio di Yara Gambirasio insieme al fratello e alla cognata, avrebbe incontrato l'ex magistrato e leader dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro presso la sua residenza a Curno, nel bergamasco. La notizia del presunto incontro è stata riportata dal settimanale "Oggi". Bossetti si trova in carcere dal 14 Giugno del 2014, quando fu arrestato sul luogo di lavoro con una plateale operazione delle forze dell'ordine, ma lui e la sua famiglia, supportati dai legali, non si arrendono alla sentenza e si stanno preparando per affrontare il terzo grado di giudizio, dal quale potrebbe scaturire una condanna definitiva.

I dettagli che sono emersi

Secondo quanto riferito dal settimanale l'incontro si sarebbe protratto per alcune ore e durante la conversazione ci sarebbero stati dei momenti di tensione, con l'ex pm che avrebbe alzato la voce. Ma intervistato da Repubblica.it Di Pietro smentisce di avere rilasciato dichiarazioni a "Oggi" e smentisce seccamente di avere intenzione di difendere il condannato. Secondo quanto riportato dal giornale Marita Comi non avrebbe chiesto all'ex magistrato di entrare nel collegio difensivo di Bossetti, ma si sarebbe limitata a chiedergli dei suggerimenti.

Di Pietro avrebbe indicato quelle che secondo lui sono le uniche motivazioni che secondo lui avrebbero una minima possibilità di essere prese in considerazione, ovvero che i reperti non sono stati distrutti e che dunque la superperizia sarebbe ripetibile.

Inoltre sarebbe venuto meno il diritto alla difesa dell'imputato, in quanto la comparazione dei reperti sarebbe stata eseguita in assenza dei legali difensori dello stesso.

La conferma della condanna in appello

Era il 17 luglio quando dopo ben 15 ore di camera di consiglio è arrivata la sentenza di appello che confermava l'ergastolo per Massimo Bossetti.

Una sentenza che stando alle indiscrezioni trapelate avrebbe diviso i giudici, alcuni dei quali sarebbero stati favorevoli a concedere la cosiddetta "super perizia" richiesta dagli avvocati di Massimo Bossetti, che si diceva sicuro che questa sarebbe servita a scagionarlo dalle accuse. La super perizia - ritenuta indispensabile dalla difesa e inutile dall'accusa - però sarebbe difficilmente ripetibile in quanto la traccia di Dna rinvenuta sul cadavere di Yara sarebbe talmente esigua che essendo stata consumata nel primo test non sarebbe sufficiente per ripetere il confronto con il sangue dell'imputato.