Finalmente si inizia a far luce sul mistero della morte di denis bergamini. Non si è trattato di suicidio: il calciatore del Cosenza non si tolse la vita la sera del 18 novembre del 1989, buttandosi sotto ad un camion che l’avrebbe trascinato per circa 60 metri lungo la statale 106 a Roseto Capo Spulico. L’incidente probatorio, con il deposito e la discussione delle perizie davanti al gip del Tribunale di Castrovillari Tiziana Reggio, ha definitivamente sbugiardato questa versione dei fatti, sostenuta per anni dall’allora fidanzata del calciatore, Isabella Internò, e dallo stesso autista del mezzo pesante, Raffaele Pisano.

Quindi, dopo 28 anni, si può affermare con certezza che il giocatore è stato ucciso, come hanno sempre ritenuto familiari, colleghi e amici della vittima.

I risultati delle analisi

Le analisi parlano chiaro: Bergamini “fu soffocato, ed inoltre era già morto prima di essere coricato sotto il camion”. L'avvocato Fabio Anselmo, legale della famiglia, ha subito sottolineato come nel dibattimento sia stata assolutamente confermata l'ipotesi della morte per asfissia; inoltre gli esami svolti hanno chiarito che il calciatore era già deceduto al momento dell’impatto sotto il camion. In più il corpo dell’uomo non sarebbe finito interamente sotto le ruote dell'autocarro, né sarebbe stato trascinato. Nei giorni scorsi era trapelato anche che i periti avrebbero ipotizzato l’utilizzo di una sciarpa per togliere la vita a Bergamini.

Si aggravano quindi le posizioni della Internò e di Pisano, che potrebbe esssere stato minacciato e costretto a partecipare ad un delitto che, per la sua particolare dinamica, non può di certo essere stato compiuto da una sola persona.

Il sollievo dei familiari di Denis

Ad assistere all’udienza, durata oltre cinque ore, c’erano anche i familiari del calciatore.

"Finalmente hanno fatto ciò che è mancato allora – afferma la sorella di Bergamini – la morte di Denis è stata negata per 28 anni, ma adesso sono soddisfatta per il lavoro svolto dai periti e per le loro spiegazioni”. Per la donna, quella dell’omicidio è solo la prima verità emersa sulla vicenda, arrivata al terzo processo: ora ci si attende di capire cosa sia accaduto e chi abbia inscenato la morte per suicidio.

È presto per ricostruire con maggiore precisione i fatti: “Siamo ancora alle indagini preliminari, quindi è sbagliato anticipare quello che si sta facendo, o quello che si farà; finita l’udienza noi guardiamo avanti” ha chiarito il procuratore Eugenio Facciolla, pur sottolineando il “lavoro egregio, davvero eccellente dal punto di vista scientifico” dei periti. In Tribunale era presente, a fianco dei familiari della vittima, anche Ilaria Cucchi, sorella di Stefano: “Non bisogna mai smettere di credere nella giustizia, andando avanti con tutte le proprie energie, ne vale assolutamente la pena – ha spiegato ai giornalisti – chi per 28 anni ha vissuto tranquillamente nell'illusione di non esser mai più chiamato a rispondere delle proprie responsabilità, oggi credo che debba temere".