Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison,Kurt Cobain, Amy Winehouse, tutti soci onorari del cosiddetto "Club 27", gruppo sciagurato di "artisti maledetti", scomparsi alla giovane età di 27 anni. Questa volta però, la "maledizione del 27", ha colpito molto prima. Gustav Ahr, noto rapper americano, in arte Lil Peep, è morto a Tucson in Arizona, mercoledì 15 Novembre 2017, a soli 21 anni, poco prima di un suo concerto. A dare l' annuncio shock, il suo manager: "Mi aspettavo questa chiamata da un anno", scrive su Twitter.
"Quando morirò mi amerete"
Nonostante le cause del decesso siano ancora tutte da chiarire, si sospetta un' overdose volontaria di psicofarmaci dovuta, probabilmente, alla Depressione di cui soffriva il giovane cantante, e di cui egli stesso non ha mai fatto mistero.
La malattia era infatti tema ricorrente nei suoi testi e spesso se ne prendeva gioco, sbandierandola sui social. Sul suo profilo Instagram, foto di pillole colorate, come caramelle, tenute in un piccolo porta gioie di Hello Kitty, ci giocava, le lanciava come pop corn. Video "divertenti" in cui rassicurava i suoi fan dicendo di stare bene, di non preoccuparsi perchè aveva già preso sei Xanax (noto farmaco anti-depressivo). Scriveva della sua dipendenza da cocaina, farmaci, ecstasy, numerosi i riferimenti macabri e crudi sempre usati con apparente leggerezza, tanto che poco prima del decesso pubblicò uno dei suoi tanti post provocatori con su scritto "Quando morirò mi amerete".
Tatuaggi su tutto il corpo, sul viso, quasi scarabocchi, senza un ordine, come a marchiare.
La scritta "Daddy" sul petto farebbe pensare a un omaggio affettuoso al padre, ma anche questa volta il sottile spirito satirico di Lil viene fuori inaspettatamente. Il padre infatti abbandonò lui e sua madre nel 2010, complicando ulteriormente la già controversa emotività di Gustav, che cresce tra i club di Brooklyn, assorbendo qua e là dalla confusa New York anni Dieci, creando uno stile tutto suo, che mischia il rap e l'hip-hop con il punk, e che è stato da molti definito "emo-hip hop".
"Vittima delle sue scelte sbagliate, non di un destino dannato"
Quella "A" rossa di "anarchia" tatuata grande sulla faccia, racchiude forse, nella maniera più significativa, l' essenza di questa personalità dannata. Non esistono regole per chi vive quotidianamente una malattia che troppo spesso viene considerata solo uno stato d'animo, una fase passeggera, o peggio, semplice tristezza.
Riconoscere un soggetto malato di depressione significa anche andare oltre la sfacciataggine di un ventenne, andare oltre la risata prepotente di un ragazzino pieno di collane che di fronte alla telecamera recita la sua parte, andare oltre lo smalto sulle unghie, il trucco nero sugli occhi e i brillanti sui denti. L'inquietudine che trapelava dai suoi brani, dai suoi concerti, dalla sua vita privata era celatamente palesata dietro gli eccessi di cui si forgiava, forse per spettacolo, forse per vergogna.
Tanti, colleghi e non, hanno dimostrato vicinanza all' accaduto, esprimendo cordoglio per l'amara perdita non solo di un artista di talento, che aveva ancora tanto da dimostrare, ma anche di un ragazzo solo e malato.
C'è chi invece ha definito tutto questo una farsa di un bambino che giocava a fare il depresso, di un adolescente "finta rock-star", come lo ha dichiarato il rapper italiano Samuel Heron, pieno di noia che è stato solo vittima di se stesso e "delle sue scelte sbagliate e non di un destino dannato".
"Ho bisogno di aiuto ma non quando ho le mie pillole"
E' insindacabile che le scelte di vita di Gustav siano state malsane e che gli abusi, in cui si è sempre trascinato, abbiano lasciato una macchia indelebile nella sua storia. Ma, quello di cui si parla ora, non sono le sue dipendenze, certamente condannabili, come qualsiasi altro comportamento intenzionalmente autolesivo, legato all' uso di droghe, si parla piuttosto della causa scatenante.
Una malattia, che come tutte, non è nè autolesiva, nè intenzionale. La depressione è una patologia che affligge circa 340 milioni di persone in tutto il mondo e che spesso porta all' auto distruzione o alla morte. Un ragazzo di poco più di 20 anni, sotto i riflettori, i suoi fans, la sua fidanzata, la fama. Sembrerebbe la vita che ogni adolescente sogna, ma è proprio qui la chiave di volta di questa complessa problematica: depressione non è sinonimo di tristezza. Prescinde dal successo personale, e si radica ben più nel profondo. Richiede cure concrete, diagnosi tempestive, lontane da tutte le superficialità teoriche di chi crede si possa risolvere con una semplice chiacchierata tra le mura di casa.
Su Instagram, ancora una volta, l'ennesimo sfogo. Un personalissimo flusso di coscienza: "[...] non lascio che le persone mi aiutino, ma ho bisogno di aiuto, ma non quando ho le mie pillole, ma questo è temporaneo, un giorno forse morirò giovane e sarò felice? cos'è la felicità, raggiungo sempre la felicità per tipo 10 secondi e poi va via. Sono stanco di tutto questo"