'La guerra è pace', scriveva George Orwell nel suo celeberrimo 1984. Pertanto, in tempi di crisi, non c'è nulla di meglio di dare sfogo alle armi per dirottare l'attenzione dell'opinione pubblica. Le ultime dichiarazioni di Donald Trump in merito alla crisi coreana non lasciano presagire nulla di buono. Potrebbe trattarsi della solita minaccia applicabile ad una strategia di 'parole grosse' che in tutti questi mesi hanno percorso gli oltre 11 mila km che separano Washington da Pyongyang, ma il fatto che Trump 'pizzichi' continuamente le potenze 'rivali' sulla questione Corea del Nord non è indice di diplomazia.
Nella migliore delle ipotesi è un modo per mettere sotto pressione Pechino e Mosca, nella peggiore c'è una soluzione militare che, a tutti gli effetti, è stata già sta studiata dal Pentagono ed attende solo il momento propizio per essere messa in atto. In verità l'attacco statunitense alla Corea del Nord sarebbe già stato lanciato da tempo, se non fosse per il 'dubbio Cina': oggi è difficile ipotizzare la reazione di Pechino dinanzi al tentativo americano di rovesciare il regime di Pyongyang. Ad ogni modo, una nuova guerra sposterebbe inevitabilmente l'attenzione dei media internazionali da quelle che sono le continue 'magre figure' della Casa Bianca, traducibili nella fuoriuscita dagli accordi sul clima di Parigi e dal trattato sul nucleare con l'Iran e nel tentato colpo di mano filo-israeliano su Gerusalemme, bocciato dall'ONU.
Le accuse alla Cina...
Fuoco e fiamme. Trump continua a prometterlo nei confronti della Corea del Nord, anche se finora ha fatto fuoco soltanto dal suo account Twitter. Le ultime accuse però sono direttamente rivolte alla Cina, fino a pochi giorni fa lodata dallo stesso presidente americano che non brilla certamente per coerenza.
Nel mirino presunti rifornimenti petroliferi che Pechino starebbe attuando nei confronti dello scomodo vicino, in violazione alle risoluzioni ONU. "Sono molto deluso e se questo accade non ci sarà mai una soluzione amichevole per la Corea del Nord", ha detto Trump. Le accuse americane sarebbero supportate da immagini satellitari che mostrerebbero una nave battente bandiera cinese che da ottobre a dicembre, almeno una trentina di volte, avrebbe rifornito di petrolio una nave nordcoreana.
"Sono stati colti in flagrante", ha aggiunto il numero uno di Washington. In realtà ci sarebbe stato l'effettivo sequestro di un natante iscritto al registro navale di Hong Kong da parte della marina militare sudcoreana. L'equipaggio della Lighthouse Winmore, questo il nome della nave che sarebbe stata noleggiata dal gruppo taiwanese Billions Bunker, è accusato di aver violato le risoluzioni ONU in merito ai rifornimenti petroliferi verso la Corea del Nord. Il trasbordo di almeno 600 tonnellate di prodotti petroliferi sulla nave nordcoreana Sam Jong 2 sarebbe avvenuto lo scorso 19 ottobre e la nave in questione era salpata dal porto sudcoreano di Yeosu. I componenti dell'equipaggio sono stati interrogati dalle autorità di Seoul lo scorso 24 novembre.
La risposta della Cina è comunque arrivata ed è una secca contestazione al report accusatorio di Washington. "Si tratta di un report assolutamente non accurato", ha detto la portavoce del ministero degli esteri cinese, Hua Chunying.
... e quelle velate alla Russia
Washington non si ferma qui e sotto accusa, anche se in maniera meno diretta, finisce anche la Russia. Nel mirino il canale telematico di comunicazione che Mosca ha aperto verso la Corea del Nord, in alternativa ai canali tradizionali di connessione internet che sono forniti dalla Cina. Anche in questo caso non è una notizia nuova, è stata resa nota lo scorso ottobre, così come i sospetti che Pyongyang abbia usato come base di partenza la vecchia tecnologia sovietica per sviluppare il suo programma missilistico e nucleare.
Il sospetto in questo caso è che queste tecnologie belliche siano giunte in Corea del Nord tramite 'vie traverse' e che ci possa essere in qualche modo la responsabilità russa. Teorie, tra le tante, che non hanno alcun riscontro effettivo. Certa è, invece, l'offerta del Cremlino, messa sul piatto dal ministro degli esteri Sergej Lavrov al suo omologo statunitense, Rex Tillerson, di porsi come 'mediatore' nella crisi tra i due belligeranti (per il momento solo virtuali) Donald Trump e Kim Jong-un. La risposta di Washington però non è stata quella che auspicavano i russi. "Gli Stati Uniti - hanno fatto sapere dal dipartimento di Stato americano - possono comunicare con la Corea del Nord attraverso una varietà di canali diplomatici.
Sta a loro cambiare atteggiamento e tornare a negoziati credibili".
Soluzione già decisa?
Se Kim Jong-un ha posto un muro, fino ad oggi, a qualunque soluzione diplomatica che possa mettere in discussione lo sviluppo nucleare del suo Paese, Trump non è da meno. Gli Stati Uniti negozieranno solo alle loro condizioni e qualunque mediazione, per il momento, sembra tempo perso. C'è però un'altra tesi, certamente più inquietante, ed è quella che Washington abbia deciso da tempo l'unica soluzione a tutela dei propri interessi: quella di una guerra che ponga fine al regime di Pyongyang. Gli effetti sarebbero disastrosi, certamente non da Terza Guerra Mondiale, ma assolutamente devastanti per l'estremo oriente perché coinvolgerebbe pesantemente Corea del Sud e Giappone, con l'incognita Cina che ha già lasciato intendere che fermerà sul nascere qualunque tentativo di spodestare il governo di Kim Jong-un.
E con lo spettro delle armi nucleari che, se messo alle strette, il dittatore di Pyongyang potrebbe decidere di utilizzare. Per Washington è forse una guerra 'conveniente e necessaria' come tante altre messe in atto in questi anni, ma il prezzo da pagare sarebbe altissimo.