La Turchia aprirà un'ambasciata a gerusalemme Est: queste le parole del presidente Recep Tayyip Erdogan, pochi giorni dopo aver avuto diversi incontri con leader musulmani, affinché il mondo la riconosca come la capitale della Palestina. "Ormai è vicino il giorno in cui ufficialmente, con il permesso di Dio, apriremo la nostra ambasciata lì", ha detto in un discorso pubblico, mantenendo la sua posizione critica sulla scelta americana di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele.
Il leader turco è stato tra le voci più forti e rabbiose del mondo islamico, a causa della decisione di Donald Trump, secondo cui gli Stati Uniti avrebbero rotto decenni di consolidata politica estera, trasferendo la propria ambasciata da Tel Aviv.
Ciò che resta da capire è se la mossa di Erdogan sia una goccia nell'oceano o sia invece la goccia che fa traboccare il vaso. Un piccolo gesto in entrambi i casi, ma con conseguenze ben diverse tra loro.
Le scelte dei paesi pro-palestina
Partendo dal principio, la scelta di riconoscere Gerusalemme come capitale palestinese invece che israeliana è un tassello importante, che aggiunge tensione alla tensione. Il progetto, avviato dall'Organizzazione per la cooperazione islamica (OIC), è stato emanato in seguito ad una riunione straordinaria del gruppo di 57 stati per ottenere una risposta unitaria alla decisione di Trump.
Il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu ha detto all'inizio di questa settimana che la Turchia aprirà l'ambasciata a Gerusalemme Est - ancora occupata sia da israeliani che da palestinesi -, in modo da fare un passo in più verso l'accettazione globale della Città Santa come appartenente agli islamici.
Non è chiaro in che modo la Turchia svolgerebbe la mossa dell'ambasciata, poiché Israele controlla tutta Gerusalemme e chiama la città la sua "capitale indivisibile". Ricordiamo, infatti, che Israele annesse Gerusalemme Est nel 1967, con un processo che non è mai stato riconosciuto a livello internazionale. Sia Israele che la Palestina rivendicano Gerusalemme come loro capitale e lo status della città rimane un ostacolo importante nei colloqui di pace.
Le ambasciate straniere in Israele, compresa quella della Turchia, si trovano attualmente a Tel Aviv, a riprova dello status irrisolto di Gerusalemme.
Nuovi scontri in arrivo?
La battaglia diplomatica ha già avuto inizio, e - neanche a dirlo - le critiche di Donald Trump non si sono fatte attendere. Il vicepresidente USA Mike Pence ha aperto una riunione di governo davanti al premier israeliano Benyamin Netanyahu, il quale ha dichiarato che "è forte la stima che nutro per le scelte del presidente Trump e per quelle della sua amministrazione, volte a proteggere lo stato di Israele.
In particolare è stato coraggioso il sostegno che Donald Trump ha offerto, ripetendo le sue decisioni davanti all'ONU".
Gli Stati Uniti, però, hanno trovato un acerrimo nemico nella loro scelta. Con Erdogan in prima linea per difendere i territori palestinesi, è difficile prevedere le reazioni delle truppe israeliane. Tra i pronostici più pessimisti, l'aggiunta - con le forze armate di Gaza, del Libano e dell'Egitto - dei soldati turchi in uno scontro che va avanti da mezzo secolo.
Va ricordata, infatti, la situazione tesissima che l'intera fascia israelo-palestinese sta vivendo negli ultimi giorni. La scelta di Trump ha già scatenato scontri feroci tra le due fedi religiose del territorio e, ora come ora, i morti sono stati poche decine, ma i feriti si contano a centinaia. E mentre USA e Turchia danno il via alle reciproche accuse, c'è chi parla di una "quarta Intifada".