Lo scorso giovedì una corte saudita ha condannato Mohammad al-Otaibi e Abdullah al-Attawi, due attivisti per i diritti umani, rispettivamente a 14 e 7 anni di prigione. Amnesty International, interpellata dal quotidiano The Middle East Eye, spiega che l'accusa nei confronti dei due è di partecipazione a una nuova organizzazione senza le dovute autorizzazioni. Tramite la loro critica "pericolosa" nei confronti del regime, inoltre, i due condannati avrebbero attentato all'unità nazionale, seminato il caos e sobillato l'opinione pubblica.

Otaibi (49 anni) nel 2013 aveva cofondato a Ryadh l'Unione per i Diritti Umani, chiusa dopo appena un mese dalle autorità.

È stato arrestato lo scorso maggio all'aeroporto di Doha, nel Qatar, mentre cercava di prendere un aereo per la Norvegia, dove avrebbe chiesto asilo politico.

Il "nuovo corso" di bin Salaman

Che l'Arabia Saudita si dimostri poco tollerante rispetto alle voci critiche interne non è certo una novità. La repressione della società civile è diventata particolarmente dura dopo le primavere arabe del 2011. La condanna dei due attivisti, però, arriva in un momento di transizione ai vertici del potere saudita, con il principe ereditario Mohammed bin Salaman che sta accumulando sempre più potere nelle proprie mani.

Se da un lato il giovane e ambizioso principe spinge per la modernizzazione del Paese, tramite la differenziazione di un'economia che fa affidamento solo sul petrolio o la concessione di nuovi diritti come quello di guida per le donne, dall'altro la stretta sulla società civile si è, se possibile, ulteriormente accentuata.

Un timore espresso dalle associazioni per i diritti umani di tutto il mondo. "La dura sentenza - spiega Samah Hadidi, direttrice delle campagne di Amnesty in medio oriente a The Middle Est Eye - conferma le nostre paure che la nuova leadership è determinata a silenziare la società civile e i difensori dei diritti umani nel regno.

Il giro di vite contro i membri della comunità dei diritti umani è continuato senza sosta, con quasi tutti i suoi esponenti più autorevoli nel Paese ora dietro le sbarre".

"Se il principe ereditario Mohammed bin Salaman è seriamente intenzionato a riformare l'Arabia Saudita - aggiunge Hadid - deve assicurare l'immediato e incondizionato rilascio di tutti i prigionieri di coscienza, inclusi i difensori dei diritti umani, imprigionati solo per il pacifico esercizio dei propri diritti".