Ieri era attesa la sentenza del processo per le intromissioni del clan dei Casalesi nel polo calzaturiero del comune di Carinaro, tra cui è imputato anche l'ex boss Michele Zagaria, detto "Capa storta", ma è stato tutto rinviato al mese di marzo, poiché l'accusato - anche in questo processo - ha deciso di revocare i suoi difensori.
Intanto, i legali Angelo Raucci e Andrea Imperato hanno inviato ai giudici - responsabili dei processi nei quali è coinvolto il loro assistito - un lungo rapporto contenete una consulenza di tipo medico, per lo stato depressivo di cui soffrirebbe l'ex capoclan.
Nel documento è inserita anche una valutazione delle cause che avrebbero determinato la malattia depressiva, attribuito dallo specialista alle misure adottate per il carcere duro.
Zagaria, ristretto al 41bis nel penitenziario di Opera, alle porte di Milano, non ce la farebbe più a sopportare quel tipo di vita. Tra i problemi da lui esposti: la mancanza di un compagno per l'ora d'aria e la relativa solitudine che lo accompagna dal 2011, anno della sua cattura. A non andar giù al carcerato nemmeno la sostituzione dello psichiatra che lo aveva in cura, considerando soprattutto che il nuovo non gli prescrive più farmaci.
Il boss del clan dei Casalesi potrebbe ammazzarsi
Secondo i legali, la decisione di revocarli dal loro incarico non sarebbe da attribuire a una questione strettamente economica, sempre più problematica per Zagaria - dopo l'arresto delle donne di famiglia - ma a una sorta di protesta contro una vita giudicata insopportabile dal camorrista.
In alcuni procedimenti penali, "Capa storta" avrebbe quindi deciso di non difendersi più, manifestando parallelamente anche intenzioni suicide.
Proprio a causa delle volontà di farla finita, mostrata anche durante una delle ultime udienze, nella quale aveva tentato di uccidersi stringendosi intorno al collo il filo del microfono, sono stati aumentati i sistemi di videosorveglianza nella cella in cui è rinchiuso.
Adesso, l'ex primula rossa è monitorato anche quando va in bagno a fare i suoi bisogni.
A stupire tutti però, è la difficoltà di Zagaria ad affrontare la reclusione serenamente, considerando il suo trascorso da ricercato: infatti, il camorrista in ben sedici anni di latitanza ha vissuto rintanato in rifugi blindati e interrati costruiti apposta per lui, e si è spostato da un posto a un altro nascosto nei portabagagli delle automobili condotte dai suoi fiancheggiatori.